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Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/42

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MEDEA 39


a violenza aperta romperò,
li ucciderò, morir dovessi, io stessa.
Ché mai — lo giuro per la Dea che piú
di tutte l’altre venero, che all’opera
scelsi compagna, per Ecate, ch’abita
nei penetrali della casa mia —
niuno s’allegrerà che il cuor mio crucci.
Amare e luttuose io renderò
le nozze ad essi, amaro il parentado
e il bando mio da questa terra. Orsú,
non risparmiar delle tue trame alcuna,
Medea, dell’arti tue: muovi all’orribile
punto: ché agone d’ardimento è questo.
Vedi il sopruso che patisci? Oggetto
di riso a nozze di Giasone, a nozze
di Sisifídi6 esser non devi tu,
che figlia sei d’un padre illustre, e vanti
avolo il Sole. Tu sei saggia. E poi,
donne nascemmo, al bene oprare inette,
ma d’ogni male insuperate artefici.

Si trae da parte e rimane muta ed assorta.