Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/268

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distrutto, in odio a te. Follia non è
degli uomini retaggio; e delle donne
esser dovrebbe? Io giovani conosco
che, se l’ardente anima loro Cípride
scuote, non son piú saldi delle femmine;
ma l’esser maschi è un utile pretesto.
Ma perché di parole io qui contendo
con te, quando la salma è a noi dinanzi,
teste d’ogni altro piú verace? In bando
or va’, prima che sia, da questa terra,
ed in Atene non venir mai piú,
dai Numi estrutta, o della terra dove
regnano l’armi mie presso i confini.
Ché s’io, da te patito un tale scorno,
mi rassegnassi, dir potrebbe Sínide6
l’Istmio, ch’io non l’uccisi, e il vanto usurpo;
e le rupi Scironie7, al mar finítime,
che pei malvagi non sono io terribile.

coro

Non so qual uomo io dir potrei felice:
ché le prische fortune a terra cadono.

ippolito

Tremendi, o padre, l’émpito e la furia
son del tuo cuore; eppur, la causa ch’offre
di bei discorsi il destro, ove ne svolga
gl’intrichi, spesso non è bella. Inabile
io son dinanzi a una gran folla: meglio
parlo ai giovani miei pari; ed a pochi;