Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/285

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282 EURIPIDE

sciagura ti colse.
Come in fondo agli abissi tartàrei
per vergogna non corri a celarti,
o, sua vita mutando, nell’ètere
non ti lanci, ed il pie’ non ritraggi
da tanta sciagura?
Ché per te non c’è posto nel mondo,
fra gli uomini retti.

Odi, Tesèo, come i tuoi mali avvennero.
Nessun frutto ne avrò, tranne il tuo cruccio;
ma venni a questo, a dimostrar che onesta
è di tuo figlio l’anima, e che muore
con buona fama; e della sposa tua,
quale furia l’invase, e come in parte
nobile si mostrò: ché dallo stimolo
trafitta della Dea la piú nemica
a noi, che caro abbiamo restar vergini,
s’innamorò di tuo figlio; e, tentando
di trionfar, col suo senno, di Cípride,
fra gl’intrighi condotta, a mal suo grado,
dalla nutrice, fu perduta. Quella,
stretto coi giuri il tuo figliuolo, il morbo
gli confidava; né sedotto quegli
fu, ch’era giusto, dai suoi detti: né,
maltrattato da te, ruppe la fede
dei giuramenti; ch’era pio. Ma Fedra,
temendo che scoperta esser potesse,
quelle calunnie scrisse, e con la frode
perdé tuo figlio; e ben seppe convincerti.