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Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/287

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284 EURIPIDE

alla brama dell’altro opporsi brama,
ma se n’astiene. Ch’io, sappilo bene,
senza il timore ch’ho di Giove, mai
non sarei giunta a tanta mia vergogna,
che l’uomo a me d’ogni altro uomo piú caro,
lasciassi a morte andar. Ma dalla colpa
te prima affranca l’ignoranza tua,
perché tu non sapevi; e poi, la morte
dando a sé stessa, Fedra ogni confronto
impossibile rese, onde potesse
convincersi il tuo cuore. Assai malanni
piombarono su te, su me cordoglio.
Perché gl’Iddii, lieti non sono, quando
vengono a morte i buoni; e invece, i tristi
nei lor figli struggiam, nelle lor case.
Giunge Ippolito, trasportato su una barella.

coro

Ecco, il misero a noi già s’appressa.
Strazïata è la vergine carne,
e il biondo suo capo. Oh sciagura
delle stirpi! Oh, qual duplice lutto
mandato dai Numi,
s’abbatté sopra questa magione!

ippolito

Ahimè, ahimè!
Straziato, me misero, io sono,
per i voti che ingiusti imprecò
a me contro l’ingiusto mio padre.