Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/40

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LE SUPPLICI 37

non temo, o figlio, se saprai costringere
col valor del tuo braccio i vïolenti
a conceder la tomba e i doni funebri
ch’essi or negano, ai morti, ed a desistere
da un uso tal che turba tutta l’Ellade:
ché salde le città restano, quando
con riguardo le leggi ognuno osserva.
Per la fiacchezza del tuo braccio — alcuno
certo dirà — quando potevi cogliere
di fama un serto per Atene, tu
rinunciasti e temesti; e d’un selvaggio
apro lo scontro sostenesti, ch’era
ben misero cimento; e quando invece
conveniva guardar con ciglio intrepido,
nella prova di guerra, elmetti e cuspidi,
si vide ch’eri un vile. O figlio, no,
questo non fare: la tua patria vedi
che sconsigliata sia qualcun l’offende;
ma con che fiero piglio essa squadrare
sa chi l’oltraggia! E trova nel pericolo
la sua grandezza. Invece, le città
che nella calma oscuramente vivono,
velato anche lo sguardo hanno di tenebre
per la loro prudenza. A che non muovi
dei defunti in soccorso, e delle misere
donne, che, figlio mio, prece a te volgono?
Ed io non temo, nel veder che muovi
a giusta guerra, e che ventura al popolo
di Cadmo arride: al gioco di fortuna
gitteranno, lo so presto, altri punti:
ché capovolge un Dio tutte le cose.