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IFIGENIA IN TAURIDE 227


ifigenia

Il mio tristo destino comincia
dalla notte che fu di mia madre
disciolta la zona. Le Parche
che presiedono ai parti, costrinsero
dal principio la mia fanciullezza
in via cosí dura.
La misera figlia di Leda
a luce mi die’, mi nutrí,
perché vittima io fossi del fallo
paterno, promessa a un infesto
sacrificio. E i cavalli ed il carro
alle sabbie mi trassero d’Aulide,
ahimè, sposa e non sposa, al figliuolo,
ahimè, della figlia di Nèreo!
Ed or, dell’inospite mare
nelle sedi dell’aspre foreste
io soggiorno, e son priva di nozze,
di figli, di patria, d’amici,
dalle nozze rapita agli Ellèni.
Né i cantici intono per Era
in Argo, né sopra i sonori
telai con la spola ricamo
l’effigie di Pàllade Atena,
né i Titani; ma tingo di sangue
la sorte di sangue stillante
dei foresti, cui suono di lira
non s’accorda, ma i flebili gridi
che levan, le misere lagrime
che versan. Ma ora oblio d’essi
mi colga. Ora piango il fratello
che in Argo moriva, che pargolo