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90 EURIPIDE


Ora, è verissimo che molti uomini, poniamo la maggioranza, proverebbero, senza confessarli, i sentimenti espressi da Achille. Ma molti, senza dubbio, sarebbero stati tanto commossi dal fiero caso della fanciulla, che l’idea dell’amor proprio offeso non sarebbe neppur balenata al loro spirito. E assai piú vicino al vero sarebbe stato Euripide, se fra questi molti avesse incluso un eroe immacolato ed umano, come qui ha, senza dubbio, voluto rappresentare Achille.

Ma poi, altri due tarli, fra i molti che minano tutta l’opera d’Euripide, rosero anche questa ultima tragedia, e ne offuscarono un po’ la bellezza, che d’altronde fulgerebbe quasi immacolata.

Uno, la musica. O, per meglio dire, la soverchia preponderanza che la musica era andata acquistando nel dramma, e massime nelle monodie. Le monodie, lo sappiamo per notizie dirette, e ancor meglio lo vediamo nelle parodie di Aristofane, divennero a mano a mano, assai piú dei cori, campo riservato agli esperimenti sempre piú arditi e bizzarri della musica, ed anche un po’, sembrerebbe, al virtuosismo dei cantanti.

Ora, vediamo la monodia che chiude la scena d’Ifigenia col padre. È bensí vero che qui le parole dovevano servire anche, o, ammettiamolo per un istante, in primo luogo, di fulcro alla musica; e non sapremmo dire come e quanto questa musica, che non conosciamo, potesse giovare ad accrescere un pathos che a noi sembra avesse raggiunto un insuperabile vertice nella preghiera d’Ifigenia al padre. Ma rimane indiscutibile che ogni lettore moderno si sente assiderato da quella cantata esposizione d’antefatti, dalla descrizione delle valli di Frigia, della puerizia di Paride, del giudizio delle tre Dee.

L’altro tarlo è la tendenza politica. Meravigliosamente in-