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sposa. Ma appena s’è presentato, e sul fastigio della reggia appaiono Oreste e Pilade. Oreste tien ghermita la fanciulla, e le appunta la spada alla gola. Accanto a lui l'amico fedele, e servi che impugnano fiaccole fumiganti. Al piede della reggia, Menelao che prega, urla, infuria, e lo stuolo di donne che certo partecipa, con le voci e coi gesti, la terribile scena. Aristofane avrà avuto un bel dire: ma in quel momento il cuore doveva saltare in gola a tutti gli spettatori.

E giunge infine, a risolvere l’intrigatissimo nodo, l’intervento celeste. Giunge Apollo: sospeso anch’egli nell'ètere, e, certo, in un punto diverso da quello occupato dai personaggi. Sicché gli spettatori dovevano volger gli occhi a due diversi punti del cielo.

Ed anche qui, il Deus ex machina, piú che l’ufficio di risolver l’evento, ha quello di eccitar l’ammirazione degli spettatori, di presentare ai loro sguardi ancora un quadro. Perché Apollo non è solo, stringe fra le braccia la bellissima Elena.

Quell’Elena che tu spenger volevi
per odio contro Menelao — ma vana
fu la tua brama — è questa che vedete
dell’ètere nei seni.

Questi due fattori — intreccio e ricerca di effetti scenici — sono rilevati da quasi tutti i critici, piú o meno esplicitamente, come importanti ed essenziali nell’economia dell’Oreste. Un terzo mi pare invece che non sia messo nella debita luce: ed è lo speciale trattamento della parte corale.

Osserviamo la pàrodos. Le donne si avvicinano a passo leggero, esortandosi l’una con l’altra a camminare in punta di piedi. Ma tuttavia fanno rumore: onde Elettra le prega di allontanarsi, ed esse obbediscono alle sue parole (ιδόυ πείθομαι) cioè compiono, retrocedendo, una evoluzione. Poi,