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ELETTRA 81

nelle man’ prese, e li osservò. Ma il fegato
era privo d’un lobo; e della bile
i canali eran pieni e le vescicole
d’escrescenze maligne. E scuro in volto
si fece allora; ed Oreste gli chiese:
«Perché t’abbatti?» — «O straniero, temo
un’insidia di fuori: un uomo vive,
il piú nemico fra i mortali, il figlio
d’Agamènnone, infesto alla mia casa».
E l’altro disse: «D’un fuggiasco temi
dunque l’insidia, tu che sei signore
della città? Ma su, ch’ora vogliamo
le frattaglie gustar. Datemi, invece
del coltello di Doria, uno di Ftia,3
che gli fenda lo sterno». Ebbe il coltello
e tagliò. Prese Egisto anche quei visceri,
e li andava osservando ad uno ad uno.
Or, mentre stava a capo giú, levandosi
sul sommo degli alúci, il tuo fratello
lo colpi nella nuca, e la colonna
vertebrale gli franse. E tutto il corpo
fu tutto un sussultare; e in mezzo al sangue,
con agonia di doglia urli levava.
A quella vista, súbito i famigli
misero mano all’armi, per combattere
in tanti, contro due. Stettero fermi
contro loro, da prodi, Oreste e Pílade,
le loro armi vibrando. E Oreste disse:
«Come nemico ad Argo e ai miei seguaci,
no ch’io non giunsi: chi mio padre uccise
a punir giunsi: Oreste io son, quel misero.
Ora non m’uccidete, o di mio padre
famigli antichi». E quelli, come udirono,

Euripide - Tragedie, VI - 6