Quanta doglia da vivo e quanta, sceso
poi nell’Averno, o figlio di Filammone,
tu recasti al cuor mio! Ché l’arroganza
che ti perdé, la gara con le Muse
cagione fu che questo figlio misero
io generassi; ché nell’almo talamo
fui di Strimone trascinata, mentre
la corrente del fiume attraversavo,
il dí che del Pangèo verso le balze
d’oro movemmo noi, Muse, recando
i musici strumenti, al gran cimento
di melodia, col gran vate di Tracia,
e Tamíri, che noi per l’arte nostra
vituperato avea, cieco rendemmo.
E come poi ti partorii, per onta
delle sorelle mie, della perduta
verginità, nei vortici del padre
fluvial ti gettai: né lo Strimóne
t’affidò per nutrirti, a man di donna,
ma dei fonti alle Ninfe. E qui, cresciuto
mirabilmente da virginee mani
fosti, o figliuolo, e il primo eri fra gli uomini,
imperando sui Traci. E che dovessi
spingendo a guerra le cruenti schiere
nella patria morire, io non temevo;
ma ti vietavo che venissi a Troia,
ché conoscevo il tuo destin. Ma d’Ettore
le frequenti ambasciate e i mille inviti
t’ebber convinto a sostener gli amici.
E della strage Atena è sola autrice.
Non la compieva Ulisse, e non il figlio
di Tidèo, pur compiendola: non credere
che ignara io sia di ciò. Pure, alla tua