Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/183

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che a dritto voglio la mia sposa, rendimela
e inoltre salva me. Ché se non vuoi,
la prima volta non è questa, ch’io
ebbi a patir, ché ne potrei dir molte;
ma tu malvagia apparirai. Ma quello
che di me degno e di te credo, e può
piú d’ogni cosa intenerirti il cuore,
su la tomba del tuo padre, ed ei m’oda,
favello: «O vecchio, ch’ài dimora in questa
marmorea tomba, io ti scongiuro, rendimi
la sposa mia, che Giove a te mandò
per custodiria a me. So che di nulla
responsabile sei, poiché sei spento;
ma non vorrà costei che il padre suo,
celeberrimo già, dai regni inferni
ora invocato, trista fama goda».
E te compagno alla mia guerra invoco,
Ade, che molte ricevesti salme,
grazie a costei, da me trafitte, avesti
la tua mercede: o quelle adesso rendi
novellamente a vita, o astringi questo,
che del pio genitor non sia peggiore,
e mi renda la sposa. E dove poi
rapir vogliate la mia sposa, ascolta
ciò che costei non t’ha detto. Da giuri,
sappilo dunque, stretti siamo, o vergine,
che pria col tuo fratello io pugnerò,
o ch’io l’uccida o ch’ei m’uccida: è semplice
il mio discorso; e s’ei nega affrontarmi
a faccia a faccia, e vuol per fame supplici
su questo avello catturarci, ho fermo
d’uccidere la sposa, e poscia il duplice
fil della spada immergermi nel fegato,