Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/190

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ELENA 187


elena

Tanto opportuna quanto allora impronta,
divenir la sciagura un ben potrebbe.

menelao

Convien che in casa teco entri, o che sopra
questo sepolcro me ne stia tranquillo?

elena

Resta: perché, se mai contro te medita
qualche atto ostil, la tomba ed il tuo brando
ti potranno schermire. Io nella reggia
entro frattanto, mi recido i riccioli,
e vesti nere indosso, anziché bianche,
e l’unghie sopra le mie gote insanguino.
Grande è il cimento, e veggo esito duplice:
o la trama si scopre, ed io son morta;
o torno in patria, e la tua vita salvo.
Era, o tu che di Giove ascendi il talamo,
Dea veneranda, a due mortali miseri
concedi lena dai travagli: supplici
per te leviam le braccia al cielo, dove
abiti tra fulgor vario di stelle.
E tu che avesti di bellezza il vanto
per le mie nozze, di Dióne o figlia,
Cípride, non voler la mia rovina.
Il vituperio basti onde tu m’hai
coperta già, quando il mio nome desti,
se pur non il mio corpo, in preda ai barbari.
Lascia, se pur morta mi vuoi, ch’io muoia