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IL CICLOPE 273


ulisse

Dio lo volle! Non dar colpa ai mortali!
Or ti preghiamo e franchi ti parliamo,
del Dio del mare o generoso figlio:
non voler, no, sgozzare ed empio pasto
far dei tuoi denti uomini amici, giunti
alla tua casa! Noi salvammo, o sire,
nel cuor d’Ellade i tempî di tuo padre.
È di Tènaro illeso il sacro porto,
e di Malèa gli eccelsi anfratti: salvi
i Gerestî recessi, e l’argentifero
Sunio, diletto alla divina Atena.
Né condonammo i temulenti affronti
ai Frigi. E sei di ciò tu pur partecipe,
tu che nel cuore d’Ellade hai dimora,
sotto la rupe etnèa fuoco stillante.
E se queste ragioni non ti valgono,
è legge fra i mortali, ai peregrini
naufraghi offrir doni ospitali e vesti,
non infilarli a madornali spiedi,
ed empirtene il ventre e il gorgozzule.
Già vedovò di Priamo la terra
tanto la Grecia, e tanto sangue bevve
d’eroi caduti sotto l’aste, ed orbe
di figliuoli e di sposi e spose e madri
rese, e padri canuti. Or, se i superstiti
arrostisci, e ne fai truce banchetto,
dove salvarsi piú? Ciclope, ascoltami:
della tua gola l’ingordigia frena,
e meglio ch’empio essere pio ti piaccia;
ché l’empietà fruttò castigo a molti.

Euripide - Tragedie. VII - 18