Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/278

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IL CICLOPE 275

tranne che a me, e a questo ventre, il primo
degl’Immortali: e i Numi a becco asciutto!
Ché bevere e mangiare alla giornata,
questo è il dio della gente che capisce;
e non stare a pigliarsela. E quei tali,
che scrissero le leggi, e complicarono
la vita dei mortali, te li mando
a quel paese. Io mai non lascerò
di far quel che mi gusta...\ e di papparti.
E per non farmi criticare, voglio
darti doni ospitali: il fuoco, e l’acqua,
e la caldaia, che col suo bollore
ti terrà caldo meglio d’un vestito.
Ma entrate, via: ché stando intorno all’ara
del dio dell’antro... m’ammanniate il pranzo!

ulisse

Ai perigli di Troia, ahimè, sfuggii,
all’insidie del mare; ed or mi frango
contro un animo duro, inospitale.
O Palla, o Dea che Giove a padre avesti,
or tu m’aiuta, ché a maggior pericolo
di quello d’Ilio giunsi, e all’orlo estremo
della rovina. E tu, Giove ospitale,
che fra lucide stelle hai la dimora,
qui volgi il guardo: ché se ciò non miri,
dio ti chiamano a torto, e dio son sei!
Il Ciclope, cacciandosi avanti brutalmente Ulisse e i compagni, entra nella spelonca.