Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/87

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84 EURIPIDE

oplita nell’aspetto orrido, sta.
Ed alto un grido leva, e ai Delfi chiede:
«A ufficio pio son qui venuto, e voi
m’uccidete? Perché? Per che ragione
devo morire?». Ma nessun di quelli
che mille e mille erano pur, da presso
gli rispondea, ma sassi gli scagliavano
da lungi. E quegli, tempestato d’ogni
parte, come da un turbine di neve,
l’armi protende, or qua, or là, lo scudo
opponendo alle pietre, e fa riparo.
Ma poco può: ché troppi dardi a un tempo,
frecce, zagaglie, giavellotti bifidi,
gli cadevano ai piedi, a farne scempio.
Avessi visto con che salti immani
schivava i colpi tuo nipote! Ma,
poi che l’avean tutto d’attorno stretto,
né gli davan respiro, ei, con un balzo
ben degno d’Ilio, l’ara abbandonò
pingue di greggi, e in mezzo a lor balzò.
E quelli, al pari di colombe, quando
vedono lo sparvier, le spalle volsero.
E molti qui confusamente caddero,
questi feriti, e nei passaggi angusti
l’uno con l’altro quelli si schiacciavano.
E nella fausta casa infausto strepito
rimbombava fra i marmi; e invece, placido
fulgeva il signor mio nell’armi lucide,
pria che di mezzo ai penetrali un ululo
levasse alcuno, spaventoso, orribile
che fe’ volger la turba alla riscossa.
E qui d’Achille il figlio procombe’,
trafitto il fianco da un’aguzza spada