Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) II.djvu/324

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1309-1341 ANTIGONE 321

uno dei nostri, ode da lungi, intorno
1310a quel sepolcro senza esequie, il suono
d’acuti ululi, e corre, ed a Creonte
ne reca annunzio; e quando questi, piú
si fa vicino, un indistinto suono
l’avvolge d’urli miseri; e singhiozza
1315egli, lagrima, e rompe in questi accenti;
«Misero me, sono io dunque indovino?
Questa è dunque la piú funesta via
di quante io prima ne battei? La voce
mi molce il cuor del figlio mio. Correte
1320ivi presso, o famigli, ove del tumulo,
fra le rocce scalzate, il vano s’apre,
presso la fauce stessa introducetevi,
alla tomba accostatevi, e guardate
se la voce è d’Emón quella che ascolto,
1325o se di me si fanno gioco i Numi!»
E noi guardammo, come l’ansio re
ordine dava; e dalla tomba al fondo
pel collo stretta la fanciulla, avvinta
vedemmo a un laccio di ritorto lino,
1330ed Emon presso lei, che, abbandonato,
a mezza vita la stringea, le nozze
piangea distrutte nell’Averno, e l’opere
empie del padre, e l’infelice talamo.
Come il padre lo vide, un fiero gemito
1335levò, gli si fe’ presso, e con un ululo
a lui si volse: «Misero, che fai?
A che sei qui venuto? In che sciagura
la ragione perdesti? Esci di lí,
figlio, ti prego, ti scongiuro!» — E il figlio
1340con selvagge pupille lo guatò,
e gli sputò sul viso, e nulla disse,

Sofocle - Tragedie. 11-21