Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) III.djvu/40

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sempre m’avessi, a me tanto molesti
i tuoi discorsi stati non sarebbero.
elettra
E dunque, parlo. Che uccidesti il padre,
tu lo confessi. E qual confessïone
potrebbe esser piú turpe, o giusto o ingiusto
che lo scempio pur fosse? Ed io soggiungo
che non Giustizia t’ispirò, ma brama
dell’uomo tristo ch’ora con te vive.
Chiedi alla Dea vaga di caccie, Artèmide
chi punir volle, allor che i venti in Aulide
ella rattenne. Ed io te lo dirò,
poi che da lei saperlo non è lecito.
Un giorno il padre mio, narra la fama,
pel sacro bosco della Dea cacciando,
dinanzi a sé balzar vide un cornigero
variopinto cervo, e l’abbatté,
e un fatuo vanto pronunciò. Crucciata
di ciò, la figlia di Latona, i venti
rattenne; e, in cambio della fiera, volle
che sua figlia dovesse il padre uccidere.
Fu per questo immolata Ifigenía:
ché per le schiere scampo altro non v’era,
né di ritorno, né verso Ilio. Ed egli,
costretto a lungo, reluttante, infine,
non per piacere a Menelao, l’uccise.
Ma pur l’avesse — il tuo pensiero accolgo —
per compiacerlo uccisa, a te spettava
forse uccidere lui? Per qual mai legge?
Se questa legge tu sancissi agli uomini,
vedi che doglia e pentimento a te