Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/113

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Baffa. Chi giudicate che debba essere primo a dare indizio dell’amor suo: l’uomo o la donna?

Domenichi. Senza dubbio l’uomo, si per essere pivi cosa onesta, come anco per essere in quello riposta piú libertá e miglior ardire; ch’egli è chiarissimo la donna sempre dover servare piú gravitá dell’uomo e dovere essere quella ch’abbia d’essere pregata. Oltra che, sempre, naturalmente, l’uomo è piú audace della femina.

Raverta. Lodato Iddio! Pure una volta avete confermato la parte delle donne, ché miracolo è bene.

Baffa. Apunto lo voleva dire anch’io, ma piú tosto l’avete detto di me.

Domenichi. Avete il torto, perché, se in tutte le cose io non cedo alle donne, è perché io son sincero e mai non fui adulatore. Però non credo di dovere esser per ciò degno di biasimo. Guardinsi pure di non credere tutto a chi loro conferma ogni cosa.

Baffa. Signor Ottaviano, poiché di molte belle cose m’avete fatta aveduta, avrei caro che si disputasse: quale etá in amore sia piú d’abbracciare.

Raverta. Questo è difficile; perché tutte le nature non sono d’una istessa complessione, né avranno in sé nell’etá matura quello accorgimento e quel discorso che se gli conviene. Perché in tale uomo, e cosí anco donna, si ritroverá in acerba e giovenile etá maturo ingegno ed attempato discorso; il che non occorrerá in quelli di piú matura. Si eh’è difficile da giudicare. Nondimeno, naturalmente parlando, avendosi da innamorare per elezzione (senza altrimenti farvi la divisione dell’etá nostra, la quale si può figurare per le quattro stagioni dell’anno, cioè primavera, state, autunno e verno), giudicherei che non si dovesse porre speranza, far fondamento né collocare il suo amore in alcun giovane ch’almeno non giunga a venticinque anni. Perché, togliendolo piú inanzi, la bocca, come si suol dire, ancora gli pute di latte, ed essi medesimi non sanno pur quel che si vogliano: appetiscono il tutto, ed ogni cosa in un momento lasciano. E puossi somigliare l’ardor loro allo scoppio d’un folgore, che scende dal cielo con impeto e subito passa, né lascia altro