Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/124

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2

Morta è colei, ch’avuto ha un tempo in mano l’anima e ’l cor, non che i pensier di voi; colei che giá d’appresso e di lontano nel vostro amor temprò gli affetti suoi ; colei che, per sentier solingo e piano tornando al ciel, lasciato ha in terra noi.

Signor, dunque v’afflige il suo partire, s’ella è fatta immortai col suo morire?

3

Ah, non piú regni in voi si strana doglia, né cosí grave duol del suo diletto!

Degno non è che ’l vostro pianto toglia a la ragion in voi seggio e ricetto.

Ella, posta qua giú la frale spoglia, ode, vede ed intende il vostro affetto; e ben conosce come il pianto e ’l duolo non amor suo, ma danno vostro è solo.

’4

— Dunque, ben mio — dice ella, — il grave pianto che versali gli occhi tuoi la notte e ’l giorno, l’aver in odio il bel terreno manto ove fa l’alma tua degno soggiorno, il chiamar morte e ’l sospirar cotanto, ch’empie l’aria e le piagge d’ognintorno, è perch’io sia tornata al mio Fattore, lasciando il mondo e ’l suo fallace errore?

5

Di me non ti doler, che, fatta eterna, vivo cara e diletta al vero amante, che vuol che ’l mio veder chiaro discerna quel ch’io non ho veduto per avante.

Or l’occhio mio purissimo s’interna nel securo gioir de l’alme sante, e, gli umani diletti in bando posti, scorgo i vostri pensier, benché nascosti.