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Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/145

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aggiunta quella prima lettera «A»; conciosiaché piú tosto sia cagione del morire nostro che del viver lietamente. Perché, oltra gli altri tormenti che ne fa patire, è cagione che mettiamo da parte non solamente le cose utili e lodevoli e s’appigliamo alle dannose e biasimevoli, ma che meno s’ami il Re dei cieli, come dimostra il Petrarca lá dove dice:

Questi m’ha fatto men amare Dio, eh’ io non dovea, e men curar me stesso,

e tutto quel che segue. Ed era pure degli affezzionati d’Amore. Però, eh’Amor sia di molta utilitá né bontá, ne sono in dubbio. Tanto piú, ch’ora leggo Piramo e Tisbe violentemente esser corsi a morte; lá nel mare si dice Leandro ed Ero essersi affogati ; odo Didone essersi amazzata; ed infiniti uomini e donne per amore esser male arrivati, che lungo sarebbe a raccontare, e tutti i libri ne son pieni. Che si dirá di tante ruine di ch’egli è stato cagione? Perché andò Troia per terra se non per l’amor di Pari e d’Elena? Per chi perdé Sansone, il forte, la sua fortezza se non per amar troppo Dalida, onde poi ne segui a lui e a’ filistei perpetuo danno? Chi fu cagion della morte d’Oloferne se non il troppo amar le bellezze di Giuditta? E Saiomone, che un solo Iddio conosceva ed adorava, per vano amor di piú femine non fu indutto ad adorar diversi idoli? Alessandro magno, che tutto il mondo vinse, non si lasciò poi vincere ad Efestione, alla quale portò tanto amore? Non fu giá cosa buona, né si gli conveniva. Chi tanti altri imperadori e re e donne d’alto affare ha condotto a vergognoso fine? Non altro, per certo che soverchio amore. Però chi ben considerasse alle infinite perdite, alle gran ruine, alle violenti morti, all’opre vergognose ed ai servili effetti, credo che giudicarebbe che meglio fosse non vi essendo Amore.

Domenichi. So ch’avete concio Amor per le feste. Molto devete essere stata ed esser crudele voi, madonna, e poco compassionevole nei casi d’amore, benché nel volto, s’io non m’inganno, non vi vegga cosí fiera, anzi mostriate pur la piú dolce cosa del inondo.