Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/9

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Interlocutori :

Baffa, Raverta e Domeniche

Baffa. Non confesserò già io che sia di vostro debito il venire a visitarmi; perché, oltre il conoscermi, meno mi reputo tale che siate tenuto a simile obligo: ma ciò che fate voi più tosto oprate per vostra cortesia e gentilezza e per alcuna scintilla di vero e perfetto amore che mi portate, il quale così spesso vi muove a venire ad onorarmi, che per merito o virtù che in me si ritrovi.

Raverta. Anzi perch’io vi sono più che molto tenuto, essendo voi specchio delle rare e virtuose donne. E quando non ci fosse altro debito, non vi pare egli grandissimo l’odor delle virtù vostre, le quali debbono movere ogniuno, che non solo vi conosca, ma pure abbia una minima notizia del valor vostro, ad amarvi e riverirvi?

Baffa. Ben dico io: l’affezzione che mi portate vi fa uscire del dritto sentiero; nondimeno io m’allegro che tale opinione di me sia in voi, sì come poi mi doglio che l’opre non siano conformi alla credenza ed impressione che di me avete.

Raverta. Non dubito punto in ciò d’ingannarmi. E, come già furono descritte le donne di Lacedemonia per dottrina egregie, cosi si potrebbono celebrare le viniziane per famosissime, se molte ce ne fussero simili a voi. Ma duoimi d’avere turbato la quiete vostra, ché, per quanto io veggio, voi ragionavate con qualche bello ed utile libro.

Baffa. Turbato voi non m’avete, perché m’è più caro il vedere e ragionare con esso voi, che quanti libri io potessi e leggere ed udire; conciosiaché da voi sempre io posso imparare alcuna cosa, il che d’ogni tempo nei libri non m’incontra: i