Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/139

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doglia 133


che ’l tira alla sua natura venenosa, ed in quela il converte, e finalmente l’assimiglia alla sua malignitá. Perciò adviene che, sí come gli animali che nascono dalla terra, la natura di quali converte il cibo in spezie dii membro notrito, ed in nostro nutrimento, cioè in nostra spezie, si converte; cosí quelli corpi, che sono gionti al veneno, se ’l mangiano ed inghiottino, li fa mutare in altra natura diversa a quella che era, percioché si muta in veneno. Perché ogni agente è piú prestante del paziente, si che passa in la natura del veneno, il quale ha l’attivitá di veneno, sí come l’èsca di fuoco che passa nel fuoco, posta che vi è sul fuoco, percioché nel fuoco è l’azzione, e nella èsca vi è la passione. Pertanto li savi medici hanno detto il veneno essere cosa che amaza il corpo e dissolve la natura umana, alle volte snoda li parti. Di sorte l’infirmitá, che vengono per causa del veneno, sono l’infirmitá comune e non proprie. E di tre raggioni noi troviamo il veneno secondo Avicena ed Averoè; ed uno è di minera, l’altro è di piante ed il terzo di animali. Perciò, lassando li dua primi, solamente ragionarò del terzo, perché la donna è animale. Pertanto dico che tutti quei animali sono venenosi, di quali la natura è lontana della natura umana e disconveniente alla sua complessione, overo è inimica ed opposita alla sua specie. Sí come sono serpenti, vipere e tiri, e quelli percossi da la saetta e morti, e tutti li uomini e donne che sono ambiate, di sorte che la rabbia non si conosce altrimente salvo col furore acceso, inespeditte parole, mala ed inspedita pronunzia, il spesso anelar e vibrar di lingua a guisa di serpenti, ingiuriar cordialmente e non saper la caggione, biestemar e maledire piú crudelmente che non fa il sacerdote nel giovedí santo li inimici di Cristo. Pertanto ditemi, lettori miei, se comprendete qualmente la donna conserva il veneno nella sua bocca ogni volta che tace, perché, quando egli favella, piú delle volte atoseca colui a chi favella. Imperò, essendo io vostro amico cordiale, vi aviso che nella donna si trovano doi sorte di veneni. Perciò dite che gli è piú venenosa d’un altro animale; perché non solo l’ira, sdegno, biasteme, ingiurie e maledizioni sono il suo veneno, ma ancora le dolce parole,