Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/209

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un a l’altro faccia parte del proprio gusto, del quale è il proprio membro la lingua. Lingua giotta, lingua leccarda, lingua sapporosa, deh, lingua, quanti n’hai legati? deh, lingua, quanti ne hai obbligati? deh, lingua, quanti n’hai infetti? deh, lingua, quanti n’hai amorbati? deh, lingua, lingua; non lingua, ma veneno a chi molto ti succhia; lingua non giá, ma morte eterna; deh, lingua, occulta mia morte; lingua, che, ligando senza lacci e catene, hai ligato tanti e tanti, che mai non vi si potriano nomerare; deh, lingua, se io non credesse di intrare in disgrazia di tante donne e di matrone, direi di te, lingua, piú che non si dice d’improvido capitano, piú che non se dice di una furiosa, e piú ancora che non si ragiona della malignitá di colui che non brama la pace, anzi disia di star sempre in guerra! Nondimeno, o maritati, avertite a le parole del savio vecchio, perché gli pronunzia in bona parte, dicendo: — Basatevi con la bocca in modo che, porgendo del proprio sapore, nutrimento del spirito vostro, spesso fatevi parte un a l’altro di quello ch’el vostro core si notrisse, nel quale è fundato il spirito in dui corpi, per via della legge santa fatto uno, uniforme; anzi è la medesima sustanzia spiritale. — Piú cose averia scritto in questa parte, s’io non credesse che tutti voi sète miglior maestri di me: imperò, con la vostra piú perfetta dottrina, supplirete dove io son mancato.