Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/237

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libro primo 231


«Crin d’oro crespo», e in quello «Da que’ bei crin», e in quell’altro «O superba e crudele», e in ogni luogo quasi. E, se non fusse ch’io cosí apporterei tedio a Vostre Signorie, io anderei citando, oltre all’Ariosto, il Sannazaro e gli altri divinissimi spirti, tanti poeti latini, che, veggendo fra loro tanta concordia, direste ben che la chioma donnesca dee essere quale io la vi ho dipinta. Ad alcuni non è dispiaciuta quella che del colore dello elettro o ambra si dimostra. Il perché il Petrarca non tacque in quel sonetto «L’aura celeste», ove dice che l’ambra perde sua prova, paragonata con le bionde chiome di Laura. Non ne tacque il Bembo nel su allegato suo sonetto. Onde si legge che Nerone chiamava «ambro» i capelli della sua Poppea dal colore; «ambro» dico, il cui colore si scorge quasi simile a dialano, o trasparente oro puro, misto però con qualche parte di bianco argento. Ma, perché meno lodevoli e meno cantati sono si fatti crini, io vo’ che quelli che stampano meglio il1 piú bello e lucido metallo, che l’auro è, que’ siano, come di sopra è stato detto, che hanno da adornare la testa di sí bella e compita donna; e che poi sieno crespi, come il Petrarca, il Bembo in alcuni luoghi de’ componimenti loro sopra citati c’insegnano, e nel suo poema l’Ariosto. Ultimamente sieno lunghi, ché, sí come il capel brieve all’uomo è alquanto piú dicevole, cosí alla donna viene il lungo a conferire grazia maggiore. Queste tre qualitá, ch’io ho posto ne’ capelli di questa donna, sono state non senza giudicio tutte in quelli d’Alcina dall’Ariosto descritte. Ora, lasciando da canto che la chioma dee essere ancora folta e spessa, ché, sí come la spessezza e foltezza di lei accresce grazia, cosí la raritá la toglie, io vengo a considerare con voi, signori, se male sarebbe questo (benché piú su parmi d’avervi fatto vedere il contrario): darle capelli fuori di legge, e farla andare con essi sopra il collo sciolti e ricadenti or su l’omero destro ed or sul manco. Vergilio a Venere, fattasi allo incontro al suo pietoso figlio Enea, che non sapeva dove si fusse, gli dá sciolti e diffusi al vento. Ma il medesimo poi a Camilla gli dá annodati, ed a Didone insieme. Laonde si cava che in amendue le fogge può parer bella una donna.