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Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/298

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292 iii - il libro della bella donna


egli le guance, a pena vi si conosceva dagli amici, non che da altrui; e che esso, per ciò arrossito, un giorno ruppe lo stormento, offertoli dal maestro, e potè far sí (avenga che egli l’usse garzone) che allora, con consenso di tutto il popolo, l’uso di sí fatti stormenti vi si lasciò in Atene. Voi mi dite che, per la medesima cagione, Pallade gittò nel flessuoso ed indietro tornante Meandro la sua sonora tibia, la quale poi, tolta dal male insuperbito satiro Marsia (ma tacete questo), fu cagione ch’egli provocò, come ben disse il Sannazaro, Apollo agli suoi danni. Voi mi dite che Apollo antedetto strangolò un fistulaio, e che i persi e medi regi avevano i musici per parasiti, e che Filippo biasmò Alessandro, suo figliuolo, perché una volta fra le altre dolcemente l’aveva udito cantare, e che Antigono, suo pedagogo, trovandosi esso intento pur al cantare, gli spezzò la cetera. Voi mi dite che gli egizi, biasmando la musica come cosa inutile, dannosa e lasciva, la vietarono ai giovani; e che non per altro ella fu trovata, salvo per ingannare gli uomini; e che le cicone fmine perseguirono Orfeo, perché col suo canto dilettava i maschi, facendoneli raggioire; e che i cento lumi d’Argo furono, per mezo d’una sola fistula, chiusi in sempiterno sonno. Voi mi dite che Atanasio, vescovo di Alessandria, uomo di gran santitá e di profondo sapere (alla cui lezzione san Girolamo instantissimamente ci essorta), la scacciò dalla chiesa, perché troppo mollificava ed inteneriva gli animi nostri, disponendoli alle lascivie ed a’ vani piaceri; e che poi, oltre, ch’ella aumenta la maninconia, se per aventura aviene che da quella prima assaliti siamo. Aurelio Agostino, maestro di santa Chiesa non l’approvò mai, e meno Aristotile, quando disse che Giove non cantava nè sonava di cetera. Voi mi dite finalmente che alcuno si è trovato, il quale, cantando vie piú dolcemente del solito, tra i sospiri del suono se n’è passato all’altra vita; e conchiudete, per queste tutte autoritati, ragioni ed essempi (aggiungendo che Antistene filosofo, avendo udito dire che Ismenia era un ottimo ed eccellente citaredo o pure suonatore di tibia, mandò fuori quelle parole: — Egli è un uomo goffo, rubaldo e da poco Ismenia, ché, s’egli fosse uomo da bene non si sarebbe dato a tale arte ed