Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/322

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316 iv - il convito, overo

il convito è più modesto, tacendo ognuno, e non essendosi anche venuto a quella allegrezza che causa il vino, la quale molte fiate fa la lingua sdrucciolare dove men debbe. E confermò il detto suo con l’auttoritá d’Anacarsi scita, il qual diceva che la vite tre uve produce: delle quali la prima ci apporta diletto, la seconda ebbrezza, la terza dispiacere. Ed era per seguir piú oltre, se non che il Selvago l’interroppe, dicendo che il mezzo era migliore. Conciosiachè allora è passata la rabbia della fame, e gli spiriti incominciano a svegliarsi, e cosí l’animo fa le sue operazioni migliori: che quel silenzio sarebbe assai buono, se fusse indirizzato a piú laudabil fine; ma, sendo non per altro che per mangiare, non si dee antiporre al ragionare, dal quale, piú tosto che dal tacere, l’uomo si fa a conoscere ch’è uomo. E giá aveva allentate le redine a quella sua eloquenza, quando, facendo segno il Raineri di voler dire anch’egli la ragion sua, fu dal re imposto silenzio al Selvago; ed il Raineri cosí incominciò: — Certamente, se noi parliamo d’una tavola d’uomini dissoluti o di persone plebee, non è da dubitare che il principio del convito non sia migliore del fine e del mezzo; perciochè cosí fatte genti non ad altro fine si riducono insieme che per sodisfare agli appetiti di Bacco e di Cerere. Di qui nasce che dal diletto si viene all’ebrezza, e da quella al dispiacere. Perciò si canta tra poeti di lapiti, di centauri, di Penteo, lacerato dalla madre istessa, e d’altri mostri e straboccamenti d’intelletto. Ma, poichè tal quistione è dal nostro re proposta a noi, che facciamo professione non di lapiti nè di centauri, ma d’uomini sobri e temperati, mi par di dover dire che la miglior parte del convito sia il fine. Perciochè i nostri pari s’accompagnavano e raunavano insieme non per mangiare nè per bere, ma per vivere amichevolmente; e da questo vien detto «convito». Conciosiacosachè, nell’infinite calamitá di questo mondo, la nostra vita non si può veramente dir vita, se non mentre che noi l’usiamo conversando con gli amici. Di noi dunque intendendo, tutte tre le parli del convito parteciparanno l’uva del diletto, e nessuna sentirá quella dell’ebbrezza o del dispiacere. Perchè, sí come di tutte l’altre cose, cosí anco si può dir di questa: che la miglior