Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/353

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del peso della moglie 347

che forse da se stessa avuti non averebbe, a guisa d’Atteone, si potrá chiamar «cervo». Ma chi, compiacendo della sua moglie a gran maestri e valentuomini, dá principio a la casa sua di riputazione e grandezza, non senza ragione potrá chiamarsi «elefanto». A questi ultimi dunque, perchè sono in minor numero degli altri, pare che per un certo rispetto che ha loro il mondo, come favoriti de’ signori e de’ principi, non si dá il nome di «cornuto», e forse anco per non essersi ancora esso risoluto se questo animale ha corna o denti. Dove degli altri tutto il giorno si sente dire: «egli è un bècco», «egli è un bue», «egli è un cervo», «egli è un montone». Per che si può conchiudere che, da diverse similitudini e nature d’animali di corno, sieno anche diverse spezie di cornuti. —

E, cosí detto, il re si tacque. Per la qual cosa quest’ultima risoluzione ci parve sì bella e nuova e sì destramente tratta e raccolta dai nostri ragionamenti, che giá, essendo approbata da ognuno, pareva che sopra la materia delle corna fusse stato detto e conchiuso tutto quello che dire e conchiuder vi si poteva, e che fusse qualunque nuovo discorso vi si facesse anzi soverchio che no. Per che ciascuno giá si taceva. Ma io, che, mentre in Napoli diedi opera agli studi della filosofia, avevo da piú persone sentito lodare il Piccolomini per un degli eccellenti filosofi de’ nostri tempi, e dai suoi scritti eccellentissimo il riputavo, avevo un grandissimo desiderio nell’animo d’udirlo sopra questa materia ragionare. Oltre che, sentendomi giá delle cose piacevoli e ridicole, che s’eran dette, non pure stanco, ma sazio, avrei voluto da quelle ormai a le piú gravi e serie pervenire; e dalle istorie e dalle favole, che sopra la materia delle corna addutte s’erano, trapassar al maturo e certo giudicio della filosofia. A la qual cosa fare giudicavo il Piccolomini essere attissimo. Per che, fatto segno al nostro re ch’egli solo restava di ragionare, fui cagione che gli impose che seguisse. Ed egli, quasi da profondo sonno svegliato, in questo modo a dire incominciò:

— Se mai, umanissimo re e gratissima compagnia, ebbe altri mistiero, disputando, d’essere eloquente, ben conosco ora quanto io piú ch’ogni altro bisogno n’abbia. Avengachè, dovendo io con