Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/374

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368 appendice


poi partorí con tanto grido nel suo miglior libro. Sperando io dunque, con l’essempio e con l’autoritá di sì grandi uomini, di ritrovare iscusa appo coloro che sono di piú purgato giudizio, mi son posto a scrivere un ragionamento, fatto per ischerzo da certi gentiluomini un dì di carnevale in un convito, che si fece in questa cittá, della falsa opinione che ha il mondo delle corna e dell’origin d’esse, perché si conosca chiaro che non può la donna, per impudica che sia, far vergogna a l’uomo, che non acconsenta alle sue disonestá. Pensier basso veramente, non giá per conto di coloro che per burla ne ragionano, anzi per conto mio, che lo scrivo. Ma, benché basso, non però inutile afatto, considerando di quanti errori sia causa questa sciocca opinione, che, non so per qual sua colpa, è passata e cresciuta sì grandemente a l’etá nostra in tanto che, per ridurlo a dovuto fine, vi sarebbe bisogno di maggior forze, che le mie non sono. Ma, comunque io ritratto l’abbia, lo dono e consacro a voi, sì per far il mio debito, essendo ciascuno che vi conosce obligato alla vostra cortesia e bontá, sì anco perché io spero esser da voi aiutato a questa a me difficile impresa (non giá qual Ercole da Iolao, per esservi io senza alcuna proporzione inferiore; ma, al contrario, piú tosto qual debole Iolao da Ercole forte ed invitto); accioché, dove io mancassi con lo stile, possiate supplir voi con l’autoritá e grandezza vostra. State sano e felice.