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Pagina:Trattato de' governi.djvu/11

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xii avvertenza

egli confessa come il nostro Segni fin dal 1559 notò che il settimo e l’ottavo libro parevano essere la continuazione del terzo, poichè il subietto annunciato alla fine del terzo non viene realmente trattato che nei due altri, e che un altro italiano nel 1577, Scaino da Salò, provò vera quella affermazione, e nella parafrasi che l’anno dopo pubblicò in italiano della Politica seguì il nuovo ordine provato giusto da lui.

Matteo Ricci, ai dì nostri, pubblicò una versione pregevole dei libri della Politica, giovandosi di tutte le finezze e di tutti i miglioramenti della moderna critica (Firenze, Le Monnier 1853). Egli mostra naturalmente di far poco conto dei tentativi dei nostri vecchi, i quali, tuttavia, avevano due vantaggi: conoscevano, secondo che portava l’età, minutissimamente Aristotile, e avevano una lingua politica, che sornuotava al naufragio o alla stagnazione delle repubbliche italiane; lasciando stare che vivevano in un’età squisitamente letteraria, e generalmente ben parlante. Se non che la critica era recente e imperfetta, e non sempre accertavano il senso o per difetto de’ testi o per difetto di quella più sottile erudizione, ch’è parto degli studj lunghi e continuati o del tempo. Ove l’accertano son propri, vivi ed efficaci, e non vanno a pescare le forme del dire dai linguaggi filosofici artificiali, ma colgono le faville che sfolgorano dal ferro battuto all’incude popolare. Onde senza uno scrupolo al mondo, noi togliemmo a ristampare la versione che della Politica fece Bernardo Segni.