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saranno principi, o vogliamo dire in magistrato. Imperocchè e’ non è la medesima la virtù del principe, e quella del cittadino. E forse per questo disse Iasone di morirsi di fame, quando e’ non regnava, come quegli, che non sapeva vivere in privata fortuna.
Contuttociò è lodato il potere comandare, e il potere ubbidire, e la virtù del cittadino approvato è di poter fare l’uno e l’altro ufficio rettamente. Ora adunque se noi poniamo la virtù del buon uomo essere quella di chi comanda, e se quella del cittadino poniamo esser quella, che sappia far l’uno e l’altro ufficio, ne conseguita, che l’uno ufficio e l’altro non è similmente degno di lode. Ma perchè alcuna volta e’ pare che l’una cosa e l’altra si debba sapere, e perchè il principe non debbe imparare le medesime cose, che il suddito, di cui però si può considerare, che il cittadino l’una e l’altra cosa debbe sapere, e dell’una e dell’altra debbe essere partecipe.
Imperocchè e’ si da un imperio signorile: ma questo tale imperio intorno agli esercizî chiamati necessarî non debbe sapere amministrargli per necessità, ma piuttosto debbe sapere usargli; perchè l’altro è cosa servile: io dico l’altro, il poter somministrare ancora alle azioni servili. E de’ servi pongo io esser più le specie, perchè li ministerî sono di più sorti; de’ quali una parte se n’aspetta agli artefici manuali. E tali sono (siccome li manifesta il nome chernites) quei, che vivono dal ministerio delle mani: infra i quali si mettono gli artefici vili. Onde appresso d’alcune republiche anticamente cotali non v’eran partecipi de’ magistrati, se non poichè lo stato venne nella ultima popolar feccia.
Questi simili esercizî adunque dei sudditi non debbe imparare a fare nè il buon governator di republica, nè il cittadino buono; se già e’ non lo fa per servirsene alcuna volta a sè stesso; perchè, altrimenti stando, e’