Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/271

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I’«autonomica» indipendenza, conceduta fra le nubi del Placet nel 25 maggio 1S13, travolta nell’aere, si dileguò. Peggior d’ogni altra oggi riesce nella mala augurata disputa fra i napolitani ed i siciliani l’anfibologia, colla quale affermano gli uni e gli altri d’avere una particolare «nazionalitá»: entrambi teneri della propria. Ma ella è unica, ed è l’italiana; quella in favor della quale sembra che la provvidenza di Dio venga rimutando le sembianze d’Europa con abbattere i potenti e calcare i vani orgogli dell’uomo. L’unica «nazionalitá» de’ napolitani e de’ siciliani, comune con la generale di tutta Italia, non toglie che i due popoli siano indipendenti fra loro, salvo il legame di vivere sotto uno stesso re. Se fosse diversa, dovremmo annoverar tante nazionalitá quanti sono gli stati d’Italia; e dovrebbero le repubbliche di Genova, di Lucca e di Pisa, in grazia delle lor glorie antiche, staccarsi dal Piemonte e da Toscana, e guastar l’opera magnanima per cui si va ora unificando la nostra penisola. Illustre fu la storia delle nostre repubbliche italiane: assai piú illustre che non quella si furiosa di Sicilia sotto i normanni e gli svevi. Anche Modena e Parma sovrastarono per molti secoli ad insigni contrade; ma oggi, scosso lo straniero giogo, non potrebbero elle negare d’unificarsi con gli stati vicini e d’abolire in tal modo la rimembranza de’ lunghi lor mali, quando esse godevano chiamarsi capitali di provincie. Una si leverá in breve la confederazione di Italia, patria bellissima di quanti parlano la stessa lingua, tuttoché divisa in vari dialetti. Per questa lingua, certamente la Sicilia non può disgregarsi da noi, sotto il pretesto di voler ricuperare l’indipendenza «internazionale», che mai non ebbe, se non per breve spazio nei tempi di Federico III e de’ successori usciti dal suo sangue.

Il re giá consenti s’avessero l’autonomia, convocando il lor parlamento particolare secondo le forme del 1812. S’indugiò alquanto, è vero, a convocarlo; pur niuno avea posto un termine fermo, di lá dal quale diventasse legittima e necessaria la cessazione delle parole, che pur si moveano, di pace; il qual termine suole additarsi per dritto pubblico eziandio fra’