Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/356

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peltro» eoe. tutto il partito che avrebbe dovuto, e aggiungeva: «Rammentiamoci che il Fagiolano non nacque in grande stato, ma vi pervenne. I molti anzi il fanno nato tra la plebe come il primo Sforzesco».

A questa lettera pubblica a lui diretta rispondeva sulla stessa Antologia (nel n. LXXIV del febbraio 1827) il Repetti. Egli rigettava, innanzi tutto, l’opinione che la canzone «Poscia ch’i’ ho perduta ogni speranza» fosse di Dante e non di Sennuccio; quindi, approvando ciò che a proposito del canto XIX dell’ Inferno e della predizione della durata del pontificato di Clemente V aveva scritto G. P., aggiungeva che se tale canto fosse stato scritto dopo la morte di questo papa «il poeta esatto come suol mostrarsi in quanto alle date e alla ragione de’ tempi, non avrebbe largheggiato cotanto in simile finzione da augurare ad un malvisto pontefice dieci anni piú di quel che visse; ma imitando l’esempio registrato al canto X dell ’Inferno medesimo, rapporto alla cacciata di Firenze del Cardinal di Prato, ed alla prognosticata sua gita in Lunigiana, (Purgatorio c. VIII) avria messo in bocca di Niccola III una piú esatta imprecazione». Riteneva il Repetti che «niuna pregiudicevole circostanza» ostasse «alle congetture dell’autore del Veltro allegorico intorno all’itinerario del poeta esulante, e massime che l’Alighieri potè scrivere gran parte della cantica nel 1308 presso il marchese Malaspina di Mulazzo». Era invece scettico riguardo all’autenticitá della lettera di frate Ilario. Ma ben presto nello stesso periodico, VAntologia W, dopo il Witte, rispondendo al quale il Marchetti quasi aveva rimproverato la qualitá sua di studioso non italiano, e, quindi, per ciò stesso, non del tutto competente a giudicare profondamente di Dante, a formulare diverse obiezioni al lavoro del Troya, ed anzi a mettere in dubbio la conclusione stessa, che cioè il veltro dantesco fosse Uguccione, succedeva il Tommaseo. Egli, pigliando occasione dall’opera di Francesco Lomonaco, Vite de’ famosi capitani d’Italia, prendeva a considerare la figura di Uguccione e si poneva la questione se fosse stato il Faggiolano degno d’essere il veltro dantesco. Per il Troya e per l’opera sua ha il Tommaseo grandi lodi ed ammirazione: solo non è ben persuaso delle ragioni addotte dal Troya per provare che il veltro fu Uguccione e non lo Scaligero; e tiene a premettere: «che quand’anco dai dotti non (1) N. 130, ottobre 1831.