Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/358

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forza, non passò il territorio di due sole cittá; che, chiamato or da questi or da quelli a combattere sovente per causa non sua, fu preludio di que’ condottieri il cui nome ad orecchio italiano suona si doloroso ed infausto». Ed un altro rilievo si fa, in notaU), al Troya; dice lo scrittore: «Debbo ancora notare che il signor Troya nella circoscrizione di umile Italia comprende la stessa Toscana; interpretazione tuttavia alquanto angusta all’animo di colui che piangeva su tutta la serva Italia, e sopra Arrigo venuto a drizzare l’intera Italia».

Nel n. 131 dell ’Antologia (novembre 1831) il Tommaseo torna a nuovi appunti al Troya, il quale non aveva visto che un inganno della fortuna nella caduta di Uguccione, e non si sa su quale documento aveva affermato che papa Clemente aveva fatto scomunicare un’altra volta il poeta perché dimorava col Faggiolano, e aveva detto che Dante raggiunse Uguccione a Verona quando seppe della riverenza dello Scaligero verso Uguccione stesso. Lo scrittore giustifica il Troya, che ha confuso Moroello nipote di Currado l’antico marchese di Giovagallo con Moroello figliuolo di Currado marchese di Mulazzo, e d’aver mandato ad Arrigo nel 1310 Moroello figliuolo di Franceschino, che nel 1321 era ancora pupillo: lo giustifica perché i documenti del signor Gerini intorno ai Moroelli Malaspina non erano stati ancora pubblicati. All’articolo segue poi una nota in cui lo scrittore si dichiara lieto d’aver letto «la memoria del dotto signor cav. De Cesare sul veltro allegorico, detta nel 1829 all’accademia pontaniana». Egli è d’accordo col De Cesare a favore del Feltro friulano e contro Macerata Feltria; non crede però che il veltro misterioso abbia ad essere Benedetto XI, come sostiene il De Cesare; e innanzi tutto perché di lui non è fatto cenno in alcun luogo delle opere di Dante.

Nell’accesa disputa che andava svolgendosi nell’Antologia mutava parere, allontanandosi dall’antica opinione del tutto aderente al libro del Troya, Gabriele Pepe. Questi ricorreva ancora alla forma della lettera pubblica, e la indirizzava a Gino Capponi ( 2 ), (1) N. 19 a p. 137 del fase. cit.

(2) Antologia, n. 134, febbraio 1832, Sul veltro della Divina Comedia, Al marchese Gino Capponi. — Questo ricorrere del Pepe alla forma di lettera per i rilievi che vuol fare e l’indirizzarla al Capponi potrebbe far pensare che non siano stati estranei alla, diremo cosi, conversione, o almeno al mutamento parziale, se non