Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/361

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All’obiezione della predizione del piú breve pontificato di papa Clemente nel canto XIX de\V Inferno risponde il Trova notando innanzi tutto come a giudizio di ghibellini e di guelfi sia stato, tal papa, simoniaco, «e chi credeva cosi doveva desiderare che presto avesse avuto fine lo scandalo»; ed insiste nell’asserire come risulti da documenti diversi e da lettere stesse del papa la malattia di cui egli giá nel febbraio del 1307 soffriva, per la quale giacque infermo un anno intero dal maggio 1307 allo stesso mese dell’anno seguente, né fu poi mai sano; e conclude: «Or chi non vede che la malattia del papa era cronica, e che non facea mestieri d’esser profeta per prevedere assai prossimo il fine di lui? San Pier Damiani, nel quale il poeta studiò e però collocollo nel paradiso, scrisse anche ad un antipapa: Non io t’inganno, e tu morrai fra un annodi. Lo stesso volle dir l’Alighieri: ed o a lui fu noto quel verso, ed e’ lo volle imitare, applicandolo a Clemente: o non gli fu noto, ed un pari zelo in un pari caso gli dettò le stesse parole. Ma, per non errare nel vaticinio, Dante si tenne in larghissimi termini». E nota il Troya ritornando alle accuse del Tommaseo ad Uguccione: «Con quelle accuse i bisogni ed i pensieri del secolo decimo nono sono sovente scambiati co’ pensieri e co’ bisogni del secolo decimo quarto. Gli odii, l’amicizia, il parteggiar di quei tempi sono, è vero, anche ora com’erano allora, ma le forme ne appariscono si diverse che sarebbe un grande inganno il volerle ritrarre tutte ad un modo»( 2 ) E poiché il Tommaseo aveva accusato Uguccione di crudeltá nell’opera svolta la cittá perch’egli era riuscito a portare in essa la pace fra ghibellini verdi e guelfi, né poteva tollerare che fosse turbata; fu costretto a levar l’assedio dal castello di Pulicciano per fame, partecipando alla guerra mugellana quando giá v’era inimicizia fra Bonifacio VIII e Filippo il bello, potentissimo in Firenze; sospette erano le opere di Uguccione, come dice il Compagni, a’Tarlati ai secchi ai Bianchi; porse a Dante, ospitandolo, l’aiuto che potè. Infine Uguccione non abbandonò Corso Donati quando lo vide agli estremi, ma le sue genti tornarono in Arezzo quando sentirono che i fiorentini s’eran sollevati e che Corso era stato ucciso; né egli fu ingrato verso Francesco degli Ubaldini, che l’aveva richiamato in Arezzo, poiché non Ugo, ma i Tarlati scacciarono l’Ubaldini. (1) S. Petri Damiani, Opera. Epistolarum lib. I, ep. 20; Non ego te fallo, coepto morieris in anno. (T.) (2) Come le accuse del Tommaseo, tiene presenti il Troya quelle del Centofanti, che nel 1S4Ó pubblicava una sua Lettera sopra frate Ilario (negli Studi mediti su Dante di vari autori, Firenze) giá composta nel 1834 e nella quale non ammetteva che Dante volesse dedicare ad Uguccione l ’Inferno proprio quando questi «era fautore delle tiranniche libidini di Corso Donati».