Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/371

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Le questioni di cui il Trova affermò o suggeri la soluzione nell’opera sua furono tante che, anche non accettando la principale, che cioè il veltro fosse proprio Uguccione, moltissimi, per non dire i piú degli studiosi di Dante, si trovarono necessariamente a doverlo ricordare, consentendo o dissentendo in quel dato particolare, e anche dopo le opere del Todeschini, del Del Lungo e del Bartoli non tutti quelli che affrontarono la questione principale lo trascurarono. Tutt’altro. Ne accenneremo qui alcuni. Il Fiammazzo, a proposito dell’iscrizione del monastero dell’Avellana in cui si dice anche: in eodem (monasterio) habitavit Danthes Aligherius, scrive: «Fra tutte le tradizioni (ahimè, troppo numerose!) relative alla vita di Dante, questa, chi ripensi la fede profonda il carattere mistico e l’animo esacerbato del divino poeta, sembrerá la piú verosimile; senza di che il breve ma sicuro accenno alla postura del cenobio, che è nella Commedia, se è proprio il rovescio della descrizione che ci vide il Troya, è anche troppo piú significativo che non si richieda per avvalorare l’ipotesi d’una perfetta conoscenza e quindi d’una reale visita del poeta all’Avellana e al Catria» ( 0. Il Pasqualigo, recensendo l’opera del Bartoli e notando come questi insista nel combattere il Troya, il quale, non ostante la predizione del canto XIX dell ’Inferno sulla dannazione di papa Clemente, ha posto come termine alla composizione della cantica il i3oS, ripete e sviluppa le ragioni giá dette a tal proposito dal Pepe nell’ Antologia e poi dal Troya stesso nel Veltro allegorico (1) A. Fiammazzo, Da Senigallia al Catria. flora subcesiva, Udine, G. B. Dòretti, 1891. E non seppe neppure G. L. Passerini ( La Vita Piuova di Dante Alighieri seconda la lezione del cod. Strozziano, VI, 143, con un sommario della vita di Dante, e brevi annotazioni per uso delle scuole, Torino, G. B. Paravia e C., 1897) liberarsi dal conforto di credere, poiché nulla lo rinnega, che Dante, come ha detto il Troya, sia stato lassú, sul Catria. «Ma almeno in questi faticosi errori, in queste lontane ascensioni a recessi solitari, dove l’anima grande dell’esule fiorentino avrebbe trovato d’ora in ora inspirazione e conforto, la poesia prende il luogo della storia e la reverenza che al poeta è dovuta non perde, nel cambio, niente del suo. Tutt’altro. Che anzi, in omaggio al vero, non ci è possibile affermare (come non si può negare, del resto) che Dante salisse il Catria gigante dell’Appennino, non ci lamentiamo per questo di vederne raccolta, come di un fatto possibile, la tradizione, e volentieri ci raffiguriamo con Carlo Troya la pensierosa figura del poeta ramingo, che di sulla vetta selvosa dell’alto monte pensa e contempla la patria non lontana e concepisce alcuni sereni canti del Paradiso». Si veda anche G. Vitalhtti, Il» rifugio Dantesco» di Fonte Avellona in Giornale dantesco diretto da L. Pietrobono, voi. XXIV, quad. I, 1921.