Pagina:Troya, Carlo – Del veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, 1932 – BEIC 1955469.djvu/376

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Barbi il Parodi (*), che suppone la profezia del dxv scritta nel momento delle maggiori speranze in Arrigo VII all’impresa del quale crede che essa alluda, e che come s’accosta al Barbi per il tempo della composizione dell’ Inferno, cosi s’accosta al Moore, pel quale il dxv è Enrico VII, e che ritiene il Purgatorio composto dal 1308 all’agosto 13131 2 ).

Il Gorra, riferendosi alla lettera di frate Ilario, e ricordando una recente pubblicazione del Rajna, ch’egli ritiene non definisca la controversia prò o contro tale documento, diceva, pur mostrando di non sentirne davvero il desiderio, che «è forse prossimo il giorno in cui la opinione del Troya risorgerá non solo in parte, il che è giá avvenuto, ma nella sua interezza» ( 3 ). E accostandosi per la (1) La data della composizione e le teorie politiche Inferno e del Purgatorio di Dante, in Studi Romanzi, 1905. Il Parodi ritiene sia meglio non occuparsi della questione se Dante abbia cominciato l’ Inferno o piuttosto un Inferno prima dell’esilio; lo ritiene probabile, come ritiene probabile che il racconto del Boccaccio sul ritrovamento dei primi sette canti de\Y Inferno «contenga un nocciolo di vero». Crede che abbia avuto ragione il Troya negando l’allusione al 1314 a proposito della predizione di Niccolò III, e a proposito del passo discusso del canto XXVIII Ae\V Inferno, nota: «Quanto al tradimento di Malatestino (che «tiene» non «terrá» Rimini), lo stesso Luigi Tonini, che propose la data 1312, non escluse il ^04-1306; e Carlo Tonini, nel Compendio della Storia di Rimini, I, 323 segg., negò da capo che il fatto sia posteriore al r305». E dando valore ai «dati negativi» afferma che «in tutto l’ Inferno Dante non mostra di saper nulla degli avvenimenti fiorentini e toscani posteriori al 1304, o forse al 1306. Per esempio, la morte di Corso Donati sará predetta soltanto verso la fine del Purgatorio; eppure se si pensa che nei primi anni dopo la morte d’Arrigo gli sdegni di Dante dovevano essere piú vivi ed operosi, sembrerebbe naturale ch’egli non lasciasse sfuggir le occasioni di accennare, fin dal principio del suo poema, alle vendette che avesse giá fatto il destino su coloro che piú, avevano colpa della rovina dei buoni». (2) Ed. Moore, The DXV Profecy (in Studies in Dante, serie III, Oxford, 1903). (3) E. Gorra, Quando Dante scrisse la «Divina Commedia», Rend. del R. Ist. Lomb. di scienze e lettere, S. II, v. XXIX, p. 668. — La pubblicazione del Rajna a cui si riferisce il Gorra, è: La lettera di frate Ilario, in Studi Romanzi, II, 1904, p. 123 e segg. Il Rajna, riprodotta la lettera piú esattamente che non nelle precedenti sei edizioni fattene, ritiene che «quando il documento venne ad allogarsi nel codice laurenziano aveva giá dietro di sé un passato, che non c’è alcuna necessitá di ritenere lungo, ma che neppure si potrebbe senza grave imprudenza pretendere brevissimo». Sta poi inconcusso che il documento non potè essere fattura di chi lo trascrisse in quel codice». Per lui la scrittura è la boccaccesca; ma «il Boccaccio prendeva non foggiava la lettera: la quale viene cosi ad essere riportata piú addietro e di un tratto... non troppo breve, da quella metá del secolo, a cui lo zibaldone vuole assegnarsi». E conclude: «Verrá a ravvivarsene in taluno la credenza, o un tentativo di credenza, che la lettera sia genuina. Altri invece — ed io con