Pagina:Turco - Canzone senza parole.djvu/217

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quanto dovetti sorvegliare il mio spirito ribelle per non venire mai meno a quella costante vigilanza!...

Quando vidi Emilia nella quiete della casa paterna, fra i comodi e gli agi del suo appartamento, con la fida Alwine al fianco, le visioni d’arte tornarono affascinanti, impetuose al mio pensiero e, resistendo alle affettuose proteste di mia moglie che rimpiangeva l’intimità dei giorni trascorsi, m’abbandonai con trasporto al piacere del lavoro. Chiuso nel mio studio, immerso nella meditazione del mio soggetto, andavo abbozzando le scene d’una commedia e la mia fantasia, obliosa di tutte le domestiche cure, divagava nei campi infiniti della passione umana.

Qualche volta un passo un po’ grave s’avvicinava, mi destava dal mio sogno; una mano bianca, fregiata dal solo anello nuziale, veniva a posarsi sulla mia spalla; una voce dolce ma un po’ dolente mi diceva:

— Che fai Curzio? Scrivi sempre... sempre chiuso in questa stanza, non ti vedo mai...

— Volevi che fossi un uomo ozioso, Emilia?

— Oh no! non ozioso, avrei voluto soltanto che tu vivessi un pochino anche per me...

— Sono tuo, lo sai, Emilia, — rispondevo io amaramente — ma devo scrivere perchè ho qui dentro una febbre che mi divora..

— Non l’avevi, una volta...

— Occupavo un posto in questa casa e mi stava-

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