Pagina:Turco - Canzone senza parole.djvu/232

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— Hai ragione, Curzio, mi fa male. Quando partiremo?

— V’è ancora una recita del mio dramma, Emilia, forse due, in questo momento non posso allontanarmi, lo vedi anche tu...

— Se credi, potrò tornare a casa con Alwine e tu verrai presto, non è vero, presto?...

— Appena sarò libero, Emilia...

Quella sera stessa ella ripartì alla volta di N..... Per il mio lavoro, per gli applausi lusinghieri coi quali era stato accolto, per quel mio primo passo fortunato nella carriera dell’arte, non una parola. L’abisso fra di noi era già scavato, soltanto la sua grande bontà fino allora era riescita a colmarlo. La povera Emilia era costretta a quel freddo silenzio dalla sua sottile coscienza, da un imperioso bisogno di rettitudine e di sincerità, ma ne soffriva acerbamente; io non potevo comprenderlo: dinanzi a lei mi sentivo inquieto, inasprito e il rimorso di quella mia intolleranza m’esasperava.

Appena tornato dalla stazione, il teatro essendo chiuso, feci una visita a Irene. Ell’era circondata da vari artisti. Un giovanotto che le sedeva accanto mi cedette il suo posto. Si parlò dell’arte drammatica, di letteratura, anche dell’amore. Genialmente colta, ma spesso molto sobria nella parola, Irene non aggiungeva che, di tratto in tratto, qualche frizzo spiritoso alla conversazione; quando il discorso cadde sull’amore, ella ammutolì.

— Vedi — disse un critico ad un giovane poeta