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impressioni e ricordi di bayreuth 253


recando seco i frantumi dell’asta infranta. La descrizione del costernato olimpo è d’una bellezza meravigliosa. Waltrapte narra poi come Wotan abbia fatto atterrare la quercia divina onde usufruirne per il rogo finale, come abbia spedito nel mondo i suoi corvi onde gli rechino il desiderato annunzio del fine. Un solo rimedio, dice, vi sarebbe a tanto duolo: la restituzione dell’anello alle Ondine.

Ma Brunilde non intende separarsi dal suo dolce pegno d’affetto che gli è piú caro di tutto il Walballa. «All’amore non rinunzierò mai!» esclama ella, ma la musica contraddicente alle parole ricorda la maledizione dell’amore.

Waltraite se ne parte sconsolata, con profezie di sventura. Al tumulto cavalleresco della sua partenza succede il fiammeggiante incantesimo del fuoco; s’ode da lontano il corno di Sigfrido e, passando attraverso gl’ignei bagliori, l’eroe erompe baldanzoso sulla scena.

L’elmo calato lo rende irriconoscibile e sotto le spoglie di Gunther egli s’impone all’atterrita Brunilde, che tenta però ancora difendersi col magico potere dell’anello,, ma l’infido Velto riesce a toglierle dalle dita il fatale talismano e priva di questo sostegno, l’intelicissima donna resa debole ed impotente schiava, deve subire gli effetti della trista malia. Ella si ritrae annichilita e vacillante nella caverna e Sigfrido la segue dopo aver messo a pegno la sua spada che mai non tradirebbe la fraterna fede.

L’alto significato di questa scena sinistra ne rende ancor piú penetrante il tragico strazio. Il castigo di Wotan si compie e Brunilde imparando la fallacia dell’umana vita, si prepara col sacrifizio all’opera redentrice.

Nel second’atto vediamo un lembo di spiaggia dinnanzi alla regia dei Gibilungi. È notte, una notte tetra, spettrale. Un raggio di luna illumina all’improvviso un gruppo, il dormente Hosen che Alberico, accovacciato ai suoi piedi, contempla.

Nel dialogo seguente di cui l’orchestra sì bene esprime colle sue sincopi sinistre il contenuto diabolico e che finisce con un giuramento da parte di Hagen, il Nibelungo impone al figlio di riconquidere l’anello e di tentare con ciò la finale rovina dei Velsi e degli dei. Egli s’allontana quindi e svanisce fra le nebbie del mattino e subito dopo sorge il sole e si specchia, mirabile quadro, nelle onde azzurre del Reno. E Hagen sempre attende, dantesca figura che medita l’universale sterminio.

Il corno echeggia precedendo il ritorno di Sigfrido che narra come abbia vinta Brunilde sotto le spoglie di Gunther che seco conduce la sposa in una navicella.

Gutruna esce dalle sue stanze incontro al fidanzato e, udite le liete nuove, s’avvia festosa con esso a raccogliere le ancelle per la cerimonia nuziale. Hagen dal suo canto sì volge alla campagna e suonando un grande corno taurino convoca il popolo, e la sua chiamata anzichè annunziare la gioia sembra un grido feroce d’allarme e di battaglia. Accorre tosto dalla valle e dal monte uno stuolo di selvaggi armati che manifestano con impeto la contentezza delle annunziate nozze, e all’apparire della navicella s’affrettano di trarla alla spiaggia. Al suono di una festosa marcia, fra il rumore dell’armi, n’esce Gunther colla pallida Brunilde che s’inoltra affaticata e a capo chino e, sul limitare della reggia a cui egli la guida, s’affaccian loro Sigfrido e Gutruna col seguito delle ancelle.

Alla vista di Sigfrido, la Valchiria indietreggia, con orrore, lo fissa, vacilla e, atterrita dalle sue fredde spiegazioni, gli cade semisvenuta fra le braccia. «Non mi conosci piú?» Mormora ella con flebile accento. Indi scorge l’anello in dito all’eroe, il suo dubbio si muta in certezza, la certezza in furore. La sua disperata invocazione agli dei è della piú alta efficacia.

Gunther tenta calmarla ma ella non riconosce che Sigfrido, e al colmo dell’esasperazione rivela l’inganno agli astanti.

Solo un giuramento può redimere l’eroe dall’accusa, Hagen presenta la punta della sua lancia e, sempre di tutto dimentico, Sigfrido glura.

Brunilde erompe furibonda fra gli uomini che circondano il Velso, gli strappa l’asta di mano e pronunzia anch’ella il giuramento contraddicente, tempestoso e solenne. Il popolo eccitato è presso a sollevarsi.

Sigfrido tranquillo, quasi impassibile, esorta Gunther a concedere un po’ di riposo alla Val chiria esaltata da qualche arte maligna, e cingendo baldanzosamente il fianco di Gutruna s’allontana con essa e col seguito rincorato.

Nel crescente interesse dell’azione, nell’addensarsi dei fatti, s’addensano sempre piú le formole musicali nel loro prodigioso intreccio. Il concetto della vendetta predomina questa grande scena che s’apre col motivo della maledizione, che tocca un punto culminante nell’appassionata preghiera: «Insegnatemi a soffrire come nessuno sofferse!», che raggiunge nel giuramento dell’esasperata donna una forza tragica, raccapricciante.

Immensamente doloroso e umano è il disinganno di Brunilde.

Rimasti soli dopo la giuliva partenza degli sposi che il popolo acclama, Gunther, Hogen e la Valchiria meditano col fatto la vendetta che già prima annunziava l’orchestra, e il cupo Nibelungo s’offre quale esecutore di essa.

«Tu!» esclama Brunilde, «ma un solo suo sguardo farà tremare il tuo coraggio!»

Hogen insiste onde gli consigli un mezzo efficace ed ella rivela allora come nel rendere invulnerabile il corpo del suo sposo, con un in-