Pagina:Turco - Salvatrice.djvu/16

Da Wikisource.
958 salvatrice


L’uomo può rassegnarsi a qualunque disillusione ma il dolore d’aver perduto la fede nella propria madre è un dolore mortale.

L’universo m’appariva scolorato, tutto mi si oscurava dinanzi, le più dolci speranze della vita sembravano sommergersi in un mare di dubbiezze, e la donna che avevo tanto sognato anch’essa nei miei vaneggiamenti giovanili, discendeva, discendeva, nella fosca caligine dell’ineredulità.

Dal fondo dell’esser mio io sentivo sorgere ribelli pensieri, 10 sentivo il freddo cinismo minacciare e invadere la mia ragione.

Mi ridussi spossato all’albergo e, come quella notte in cui avevo inteso la prima volta che mia madre era circondata da un’altra famiglia, mi buttai sul mio letto, in un impeto di desolazione e piansi tutte le lagrime degli occhi miei. E come allora, verso l’alba, il desiderio di vederla aveva assorbito e vinto tutte le mie pene, così adesso, ad un tratto, una visione confortatrice mi apparve, e la serena e onesta figura di Anna Jorio s’impose alla mia esaltata fantasia, con un’efficacia salvatrice.

Sentivo ch’ella solo avrebbe potuto redimere la mia anima dall’oscurità profonda in cui era caduta, ma 10 non avevo più riveduto Anna, non mì rimaneva più alcuna speranza d’incontrarla e le mie circostanze mi costringevano a partire il glorno seguente.

Mi pareva che nè la natura nè l’Arte avessero più il potere di consolarmi, nonpertanto un senso di dovere mi trasse in alcune chiese, alla scuola di San Rocco e al palazzo Labia perchè non volevo partire da Venezia senz’avere portato il mio umile tributo d’ammirazione ai nostri grandi. Sceglievo i rii più ombrosi, le vie più remote per tema d’incontrarmi colla famiglia Sàlgari. Mi pareva che non avrei più avuto la forza di sopportarlo. Dopo il mezzogiorno un istinto strano mi ricondusse all’Accademia che avevo visitato una volta al mio arrivo. Entrai nel primo salone grande e con uno smarrimento nel cuore vidi Anna che stava contemplando, in fondo, il quadro di Jacobello del Fiore.

Ella era proprio assorta in quella contemplazione, coll’estasi mistica che dà a certe donne l’Arte dei primitivi, e non osal turbarla.

Soltanto quando si mosse m’avvicinal.

Ella mi salutò gravemente, ma il suo sguardo ebbe un raggio d’infinita dolcezza.

SALVATRICE n .

— Vede, diss’io, è proprio il destino che mi ha condotto qui presso di lei, sì l’istinto che m’ha guidato... Mi permetta di esserle compagno in questa sua visita alle cose gloriose del passato, poich’ella arriva, non è Vero.?...

— Sì, arrivo.

L’Accademia era quasi vuota; salimmo insieme a quella specie di tribuna ove domina l’Assunta. Io guardavo il Miracolo di San Marco ma la fanciulla sì volgeva spesso verso le divine Sante del Carpaccio.

Dinanzi a quei grandi quadri noi cl comunicammo molte idee.

Figlia d’un artista ella stessa, Auna aveva un’intuizione sottile del bello, il gusto era innato in lei e spiritualizzandosi nella sua mente di donna avvezza al patire, squisitamente si raffinava. Conoscevo il suo entusiasmo per gli spettacoli della natura, la vedevo ora estasiata davanti alle opere degli antichi, e la sua anima candida e ardente di nobili aspirazioni appariva così chiara agli occhi miei che vi leggevo, come in un libro prezioso.

Guardammo insieme e studiammo diverse meravigliose opere d’Arte, la Presentazione al Tempio che restituita al suo primo posto di tanto s’avvalora, il Cristo di Cima da Conegliano, le #a# der Vivarini, le Madonne di Gian Bellino, l pastelli di Rosalba.

Anna era stata la mattina nella chiesa di Santa Maria Mater Domini a vedere la Santa Cristina di Vincenzo Catena che nel suo celestiale rapimento sembra illuminare il piccolo tempio d’una fiamma viva d’amore, e adesso aveva collocato la sua seggiolina dinanzi alla dolcissima Sant’Orsola del Carpaccio che reggendo soavemente con una mano la pura fronte, circondata da una treccia bionda, posa tranquilla sul casto guanciale e sogna forse il martirio che il fulgente angelo sta per annunziarle.

_ Vede, mi diceva Anna, la spirituale bellezza di queste due Sante in tanta meravigliadi cose grandi, mi tiene un impero sull’anima: il sentimento, non è forse la potenza più durevole nell’Arte?

Eravamo soli, nella nuova sala del Carpaccio. Io lessi ad Anna la leggenda di Jacopo da Varagine, poi ci trattenemmo ancora discorrendo, ella seduta, io in piedi presso di lei. E a poco a poco accadde che, nel ragionare su quella sua domanda, sì venisse ad un colloquio più confidenziale. To mi sentii convinto di lei come d’una