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discorso sul testo del poema di dante. 147

dall’autore»1. Quell’egli è il Poema; e l’equivoco del pronome della persona assegnato alla cosa è una delle grazie autorevoli del principe de’ grammatici. Nè io noterò l’editore d’irriverenza, se nel citare il passo si provò di tradurlo dal Fiorentino, e rifece — Il poema di Dante nell’anno mille trecento vent’uno fu dall’autore con la vita finito2 — bensì mi duole ch’ei si riporti al libro secondo degli Avvertimenti della lingua italiana, senza avvedersi che il Salviati non sapeva nè voleva sapere che lingua Italiana vi fosse o potesse esservi mai; però scrisse que’ volumi d’Avvertimenti sopra la lingua del Decamerone a provare che il modello d’ogni eloquenza e tutto il tesoro di questa lingua sta nel purissimo volgare de’ Fiorentini. E mi duole ancor più che un industrioso e dotto scrittore s’ajuti fin anche di quella novella del Salviati senza avvedersi, che quand’anche la fosse storia, un poema finito appunto quando l’autore moriva in Ravenna, non poteva essere trascritto tutto nel tempo ch’ei dimorava in Friuli.

XV. Quell’affannosa, contenziosa, boriosa indagine delle date, che riduce molte storie italiane a volumi di controversie cronologiche, guasta l’ordine degli avvenimenti; e pare lo strepito di certi maestri di musica, i quali per ostentare la loro precisione nell’arte, ti picchiano le battute col loro bastone, e soverchiano i suoni di tutta l’orchestra. La irreligione e la superstizione per l’esattezza de’ tempi riescono egualmente dannose e ridicole. Se tu travolgi l’ordine cronologico di più fatti pendenti l’uno dall’altro, la cagione ti pare effetto, e l’effetto cagione; e tu ragioni su le umane cose a traverso. Ma l’armonia de’ fatti e de’ tempi è peggiormente confusa dalla ostinazione d’accertare l’anno, il mezz’anno, il mese, e spesso il giorno de’ fatti di generazioni sepolte alcuni secoli addietro. Ogni qualvolta le minime frazioni de’ tempi non si palesano a’ posteri a un tratto e spontanee, resistono più fatali a chiunque più s’affatica a vederle; e non sì tosto ei ne sbaglia una sola e la tiene per certa, ei di certo vi accomoda avvenimenti, argomenti, conseguenze e sistemi, che quanto più sembrano ragionevolmente desunti dalla immutabile serie degli anni, tanto più inducono il mondo in errori ed in eterna perplessità. Il non voler mai stare contenti alle epoche note, e l’indicarne alcune ignotissime, e fondarvi edificj di storia e di critica, è

  1. Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone. Vol. I, pag. 197, ediz. Milari.
  2. «Finito? e dopo lunghissimi andirivieni a provarlo finito, quest’Editore Barloliniano nelle postile (vedi Purgatorio, XVII, v.27) lascia pensare a’ lettori quale di due varianti l’autore avrebbe anteposto, se avesse dato l’ultima mano al suo manoscritto. — Ma non di’ tu ch’ei lo haveva fatto ricopiare pulitamente in Udine per bello e finilo?» — Aggiunta ms. del Foscolo in una copia, interfogliata o annotata dall’Autore, di questo Discorso, ediz. Pickering, 1825 esistente nella biblioteca dell’Accademia Labronica di Livorno.

    (L’ Ed. fior.)