Vai al contenuto

Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/249

Da Wikisource.

SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 247

» pena, dico, di esilio e di povertà: poiché fu piacere de’ cit- i> tadirii della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, » di gittarmi fuori del suo dolce seno, nel quale nato e nu- » drito fui fino al colmo della mia vita; e nel quale con buona » pace di quella, desidero con tutto il cuore di riposare l’animo » stanco, e terminare il tempo che m’è dato. Per le parti quasi » tutte , alle quali questa lingua si stende , peregrino quasi » mendicando, sono andato, mostrando contro a mia voglia la » piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte » volte essere im.putata. Veramente io sono stato legno senza » vela e senza governo portato a diversi porti, e foci, e liti dal » vento secco, che vapora la dolorosa povertà ; e sono apparito » agli occhi a molti, che forse, per alcuna fama, in altra forma » m’avevano immaginato ’.» -- Questo lamento viene oggimai ricopiato da un libro all’altro in più lingue per vaij propositi, senza che importi a’ citatori tanto ne quanto di sincerarsi dove fu posto e come inteso dallo scrittore.

XCIX. Dice — « che mosso da timore d’infamia, e da de- » siderio di dare dottrina » intendeva di levare il velo allegorico alle sue Canzoni, si per manifestare la loro sentenza filosofica ad altri: e si per levarsi la taccia d’essere stato signoreggiato dalla passione d’amore : ma che, pur troppo, il commento scritto a liberare le poesie da’ difetti sarebbe — « forse in parte un » poco duro: la quale durezza per fuggire maggiore difetto, » non per ignoranza, è qui pensata ^ » - onde esclama : - « Ahi » piaciuto fosse al Dispensatore dell’ universo che la cagione » della mia scusa mai non fosse stata; che né altri contro me » avria fallato, né io sofferto avrei pena ingiustamente : pena, » dico, d’esilio e di povertà ^ » — E il nodo sta : — come mai questa invocazione improvvisa gli fosse suggerita dall’obbligo ch’ei si pigliava pensatamente di lasciare durezza al commento delle Canzoni? e donde la cagione della sua scusa? e quale il difetto maggiore?— Della vanità di parlare di sé e delle pro- l^rie Canzoni ei s’era già discolpato, allegando che le illustrava a dare dottrina. Additandone i misteri allegorici, ei si lavava ad un tempo della macchia di donnajuolo; e s’ei pure per quelle Canzoni platoniche la meritava, non si sarebbe diminuita quan- d’anche ei non fosse mai stato povero nò fuggiasco. Questo solo dalle parole esce limpido a me : — che ove l’autore non fosse stato esiliato , non avrebbe avuto cagione mai di scusarsi. — E r immediata prossimità del precedente periodo mostrerebbe ch’ei scusi « la durezza » del suo commento, imposta dalla necessità di scansare maggiore difetto. Ma, e quale?— « Du- rezza » qui non può dire fuorché oscurità o ineleganza di stile.


1 Convito, pa?. 7, e nell’ediz, Zatta, Pag, 71

2 Convito, luogo citato.

3 Rileggi tutto il p^sso qui sopra.


248