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I.


282 DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

V età più inelegante e ciarliera , e minuziosissima della glo- riosa letteratura di quella città. Ma già da più tempo non era diversa. Pur ne’ concittadini di Dante, di Michel Angelo e del Machiavelli e di Galileo r mase sempre più mente che negli altri Italiani. Se non che la tirannide, non so dir come, gli immiserì peggiormente.

Nunc vero tremefada novus per pectora cunctis Insinuai pavor.

Oltre a nuovi Atti Accademici, ne fa misera fede la stampa magnifica d. Ila Divina Commedia, intitolata a Canova. Che? non avete scrittori ed uomini e pensatori da tanto che sappiano ornarla di prefazioni, non vo’ dire più libere, ma men impor- tune ?

CXXX. Dell’ autore della teologica illustrazione, io non sa- peva più in là del nome, com’è lodato ogni poco ne’ libri usciti da mezzo secolo in qua, e rilodato in ogni giornale. I meriti suoi si stiano nelle opare ch’egli scrisse, e non m’ è incontrato di leggere mai. Ma qualunque sian oggi le condizioni d’Italia, non mi pare età questa nostra che voglia più comportare di essere ndriottrinata sul Poema di Dante in guanto appar- tiensi alla facoltà teologica - e rispetto a’ defunti con la sola colpa originale - e su la distinzione de’ Santi Padri, di pena di danno, e di pena di senso fra’ morti - e su la conformità del sistema di Dante con qudìo de’ teologi scolastici, e in ispecie di san Tomaso, e de’ più celebri controversisli, e co’ più recenti de- creti della Santa Sede ; • ch’il crederebbe? - pur questa è favola; e nel Discorso alla Cantica del Purgatorio non sarà smentita da me, bensì dalla storia de’ fatti, e degli anni non intricati da dottrine e disputazioni. Chi attende a esplorare gli ingej^ni umani ne’ loro lavori, se mai toccasse misteri intan- gibili; se derivasse dimostrazioni da pnncipj non dimostrati, né dimostrabili mai; se contendesse intorno ad equivoci ed in- ’terpre fazioni mistiche di vocaboli, se ammirasse cosa veruna; se ridesse di cosa veruna; se si dimenticasse mai che nelle religioni, o tutto è mirabile, o tutto è ridicolo; e che ogni cosa inerente alla nostra natura non è ridicola né mirabile, e solamente degna d’ esame a conoscere 1’ uomo ; insomma, chi non si contentasse de’ fatti perpetuamente riprodotti innanzi agli occhi del genere umano dal corso invariabile della natura, e quindi infallibile a guidare alla verità; si fatto critico, temo, non che trovarla , adunerebbe sofismi nuovi , errori antichis- simi, e noja sovra ogni pagina. Pur v’ è chi dilettasi anche di noja, e n’ è beato, per ciò che pochi s’ attentano di toccarlo ; onde non turberei queste né altre chiose teologiche, se non mi-


1 Discorso di sua Eccellenza il signor conte Gianfrancesco Galeani Napione di Cocconato, ca[». 1, li, IV, VII, ediz. Fiorentina dell’Ancora, voi. IV.


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