Pagina:Una sfida al Polo.djvu/67

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una sfida grandiosa 61

— Seguitemi nel mio chiosco favorito, signori. Prenderemo un thè insieme. —

Uscì dal garage svelta e leggiera come un uccello e dopo d’aver attraversato parecchie aiuole ormai spoglie di fiori e di foglie, introdusse i due rivali ed i loro partners in un elegantissimo chiosco di stile chinese, tutto in pietra bianca, con vetrate colorate a disegni rappresentanti draghi mostruosi vomitanti fuoco, e lune sorridenti in mezzo ad un cielo d’una tinta indefinibile ed ammobiliato graziosamente.

Una stufa a gaz ardeva in un angolo, spandendo un dolce tiepore che faceva crepitare i numerosi giornali gettati, semi-spiegazzati, su un tavolino laccato, di manifattura celestiale.

Toccò un bottone elettrico, per dare qualche ordine, poi invitò i quattro uomini a sedersi su delle poltroncine di velluto azzurro, dicendo:

— Signor di Montcalm, potete spiegarvi meglio. Quale consiglio desiderate da me?

Miss, — disse il canadese, con voce grave, — siete sempre risoluta a concedere la vostra mano al più forte di noi due?

— Un’americana non ha che una parola, ve l’ho già detto, — rispose la giovane. — Non so se le canadesi siano così.

— Uditemi, miss: noi abbiamo tentato tutte le prove e come avrete constatato, nè io, nè mister Torpon siamo riusciti a riportare una vittoria decisiva. Noi veniamo quindi a chiedere a voi che cosa d’altro possiamo provare, giacchè siete sempre risoluta ad accordare la vostra mano solamente al vincitore di questa singolare tenzone.

— Ma credete, signor di Montcalm, di aver esaurite tutte le sfide?

— Mi pare che non ci rimanga più nulla da tentare.