Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/268

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d’altri valentuomini, riuscirebbono benissimo, fece fare a Battista infiniti disegni, che messi in opera in quella sorte di terra gentilissima sopra tutte l’altre d’Italia, riuscirono cosa rara. Onde ne furono fatti tanti e di tante sorte vasi, quanti sarebbono bastati e stati orrevoli in una credenza reale, e le pitture che in essi furono fatte non sarebbono state migliori, quando fussero state fatte a olio da eccellentissimi maestri. Di questi vasi adunque, che molto rassomigliano, quanto alla qualità della terra, quell’antica che in Arezzo si lavorava anticamente al tempo di Porsena re di Toscana, mandò il detto duca Guidobaldo una credenza doppia a Carlo Quinto imperadore et una al cardinal Farnese, fratello della signora Vettoria sua consorte. E devemo sapere che di questa sorte pitture in vasi non ebbono, per quanto si può giudicare, i romani; perciò che i vasi che si sono trovati di que’ tempi pieni delle ceneri de’ loro morti o in altro modo sono pieni di figure graffiate e campite d’un colore solo in qualche parte, o nero, o rosso, o bianco e non mai con lustro d’invetriato, né con quella vaghezza e varietà di pitture che si sono vedute e veggiono a’ tempi nostri; né si può dire che se forse l’avevano, sono state consumate le pitture dal tempo e dallo stare sotterrate, però che veggiamo queste nostre diffendersi da tutte le malignità del tempo e da ogni cosa; onde starebbono per modo di dire quattromil’anni sotto terra, che non si guasterebbono le pitture. Ma ancora che di sì fatti vasi e pitture si lavori per tutta Italia, le migliori terre e più belle nondimeno sono quelle che si fanno, come ho detto, a Castel Durante, terra dello stato d’Urbino, e quelle di Faenza, che per lo più che migliori, sono bianchissime e con poche pitture e quelle nel mezzo o intorno, ma vaghe e gentili affatto. Ma tornando a Battista, nelle nozze che poi si fecero in Urbino del detto signor Duca e signora Vettoria Farnese, egli, aiutato da’ suoi giovani, fece negl’archi ordinati dal Genga, il quale fu capo di quell’apparato, tutte le storie di pitture che vi andarono, ma perché il Duca dubitava che Battista non avesse finito a tempo, essendo l’impresa grande, mandò per Giorgio Vasari, che allora faceva in Arimini ai monaci bianchi di Scolca olivetani una capella grande a fresco e la tavola dell’altare maggiore a olio, acciò che andasse ad aiutare in quell’apparato il Genga e Battista. Ma sentendosi il Vasari indisposto, fece sua scusa con sua eccellenza e le scrisse che non dubitasse, perciò che era la virtù e sapere di Battista tale, che arebbe, come poi fu vero, a tempo finito ogni cosa. Et andando poi, finite l’opere d’Arimini, in persona a fare scusa et a visitare quel Duca, sua eccellenza gli fece vedere, perché la stimasse, la detta capella stata dipinta da Battista, la quale molto lodò il Vasari e raccomandò la virtù di colui che fu largamente sodisfatto dalla molta benignità di quel signore. Ma è ben vero che Battista allora non era in Urbino, ma in Roma, dove attendeva a disegnare non solo le statue, ma tutte le cose antiche di quella città per farne, come fece, un gran libro che fu opera lodevole. Mentre adunque che attendeva Battista a disegnare in Roma, Messer Giovann’Andrea dall’Anguillara, uomo in alcuna sorte di poesie veramente raro, avea fatto una compagnia di diversi begl’ingegni e facea fare nella maggior sala di Santo Apostolo una ricchissima scena et apparato per recitare comedie di diversi autori a gentiluomini, signori e gran personaggi, et aveva fatti fare gradi per diverse