Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/50

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farlo imparare. Essendo adunque questo putto, che allora era chiamato Mecherino, da Pacio suo padre conceduto a Lorenzo, fu condotto a Siena, dove esso Lorenzo gli fece per un pezzo spendere quel tempo, che gli avanzava da’ servigii di casa, in bottega d’un pittore suo vicino di non molto valore. Tuttavia quello che non sapeva egli, faceva imparare a Mecherino da’ disegni che aveva appresso di sé, di pittori eccellenti de’ quali si serviva ne’ suoi bisogni, come usano di fare alcuni maestri, che hanno poco peccato nel disegno. In questa maniera dunque esercitandosi mostrò Mecherino saggio di dovere riuscire ottimo pittore. Intanto capitando in Siena Pietro Perugino, allora famoso pittore, dove fece, come si è detto, due tavole, piacque molto la sua maniera a Domenico, per che messosi a studiarla et a ritrarre quelle tavole, non andò molto che egli prese quella maniera. Doppo, essendosi scoperta in Roma la cappella di Michelagnolo e l’opere di Raffaello da Urbino, Domenico, che non aveva maggior disiderio che d’imparare e conosceva in Siena perder tempo, presa licenza da Lorenzo Beccafumi, dal quale si acquistò la famiglia et il casato de’ Beccafumi, se n’andò a Roma, dove acconciatosi con un dipintore che lo teneva in casa alle spese, lavorò insieme con esso lui molte opere, attendendo in quel mentre a studiare le cose di Michelagnolo, di Raffaello e degl’altri eccellenti maestri e le statue e pili antichi d’opera maravigliosa. Laonde non passò molto che egli divenne fiero nel disegnare, copioso nell’invenzioni e molto vago coloritore. Nel quale spazio, che non passò due anni, non fece altra cosa degna di memoria, che una facciata in Borgo con un’arme colorita di papa Giulio Secondo. In questo tempo, essendo condotto in Siena, come si dirà a suo luogo, da uno degli Spanocchi mercante, Giovan Antonio da Verzelli pittore e giovane assai buon pratico e molto adoperato da’ gentiluomini di quella città (che fu sempre amica e fautrice di tutti i virtuosi) e particolarmente in fare ritratti di naturale, intese ciò Domenico, il quale molto desiderava di tornare alla patria. Onde, tornatosene a Siena, veduto che Giovann’Antonio aveva gran fondamento nel disegno, nel quale sapeva che consiste l’eccellenza degl’artefici, si mise con ogni studio, non gli bastando quello che aveva fatto in Roma, a seguitarlo, esercitandosi assai nella notomia e nel fare ignudi. Il che gli giovò tanto, che in poco tempo cominciò a essere in quella città nobilissima molto stimato. Né fu meno amato per la sua bontà e costumi, che per l’arte: perciò che dove Giovan Antonio era bestiale, licenzioso e fantastico, e chiamato, perché sempre praticava e viveva con giovinetti sbarbati, il Soddoma e per tale ben volentieri rispondeva, era dall’altro lato Domenico tutto costumato e da bene e, vivendo cristianamente, e’ stava il più del tempo solitario. E perché molte volte sono più stimati dagl’uomini certi che sono chiamati buon compagni e sollazevoli, che i virtuosi e costumati, i più de’ giovani sanesi seguitavano il Soddoma celebrandolo per uomo singulare. Il qual Soddoma, perché come capriccioso aveva sempre in casa, per sodisfare al popolaccio, papagalli, bertuccie, asini nani, cavalli piccoli dell’Elba, un corbo che parlava, barbari da correr palii et altre sì fatte cose, si aveva acquistato un nome fra il volgo, che non si diceva se non delle sue pazzie.