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maniera alcuna. Dove gia costumavano dipigner quelle di colori velati con gomme et altre tempere, che col tempo si consumavano. Et i venti, le nebbie, et l’acque se le portavano di maniera, che altro non vi restava, che il semplice colore del vetro. Ma nella età presente veggiamo noi condotta questa arte a quel sommo grado, oltra il quale non si può appena desiderare perfezione alcuna, di finezza, di bellezza, et di ogni particularità, che a questo possa servire; con una delicata et somma vaghezza, non meno salutifera, per assicurare le stanze da’ venti, et dall’arie cattive; che utile et comoda per la luce chiara, et spedita che per quella ci si appresenta. Vero è che per condurle, che elle siano tali, bisognano primieramente tre cose, cioè una luminosa trasparenza ne’ vetri scelti; un bellissimo componimento di cio che vi si lavora; et un colorito aperto senza alcuna confusione. La trasparenza consiste nel saper fare elezione di vetri, che siano lucidi per se stessi. Et in cio, meglio sono i Franzesi, Fiaminghi, et Inghilesi, che i Veniziani; perche i Fiaminghi sono molto chiari, et i Veniziani molto carichi di colore. Et quegli, che son chiari, adombrandoli di scuro, non perdono il lume del tutto, tale, che e’ non traspaino nell’ombre loro. Ma i Veniziani, essendo di loro natura scuri, et oscurandoli di piu con l’ombre, perdono in tutto la trasparenza. Et ancora, che molti si dilettino d’havergli carichi di colori, artifitiatamente soprapostivi, che sbattuti dall’aria, et dal sole mostrano non sò che di bello piu, che non fanno i colori naturali. Meglio è nondimeno aver i vetri di loro natura chiari, che scuri; a cio che da la grossezza del colore non rimanghino offuscati. A condurre questa opera, bisogna havere un cartone disegnato con profili, dove siano i contorni delle pieghe de’ panni, et delle figure, iquali dimostrino dove si hanno a commettere i vetri; Di poi si pigliano i pezi de’ vetri, rossi, gialli, azurri, et bianchi; et si scompartiscono secondo il disegno, per panni, o per carnagioni, come ricerca il bisogno. Et per ridurre ciascuna piastra di essi vetri a le misure disegnate sopra il cartone si segnano detti pezzi in dette piastre, posate sopra il detto cartone, con un pennello di biacca; Et a ciascuno pezo s’assegna il suo numero, per ritrovargli piu facilmente nel commettergli, i quali numeri finita l’opera, si scancellano. Fatto questo, per tagliargli a misura, si piglia un ferro appuntato affocato, con la punta del quale havendo prima con una punta di smeriglio intaccata alquanto la prima superficie dove si vuole cominciare, e con un poco di sputo bagnatovi, si và con esso ferro lungo que’ dintorni, ma alquanto discosto. Et a poco, a poco muovendo il predetto ferro il vetro si inclina, et si spicca dalla piastra. Dipoi, con una punta di smeriglio si va rinettando detti pezzi, et levaudone il superfluo; Et con un ferro, che e’ chiamano Grisatoio, o vero Topo, si vanno rodendo i dintorni disegnati, tale che’ venghino giusti da potergli commettere per tutto. Cosi dunque commessi i pezzi di vetro, in su una tavola piana si distendono sopra il cartone, et si comincia a dipignere per i panni l’ombra di quegli, laquale vuol essere di scaglia di ferro macinata, et d’un’altra ruggine, che alle cave del ferro si trova, la quale è rossa, o vero matita rossa, e dura macinata, et con queste si ombrano le carni, cangiando quelle col nero, et rosso, secondo che fa bisogno Ma prima è necessario alle carni velare con quel rosso tutti i vetri, et con quel nero fare il medesimo a panni, con temperargli con la gomma, apoco apoco dipignendoli, et ombrandoli come sta il cartone. Et appres-


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