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VITA DI GIOTTO 119

(versione diplomatica)


(versione critica)


VITA DI GIOTTO PITTORE, SCULTORE ET ARCHITETTO FIORENTINO

Quell’obligo stesso che hanno gl’artefici pittori alla natura, la qual serve continuamente per essempio a coloro, che cavando il buono dalle parti di lei migliori e più belle, di contrafarla et imitarla s’ingegnano sempre, avere per mio credere si deve a Giotto pittore fiorentino; perciò che essendo stati sotterrati tanti anni dalle rovine delle guerre i modi delle buone pitture e i dintorni di quelle, egli solo, ancora che nato fra artefici inetti, per dono di Dio, quella che era per mala via risuscitò, et a tale forma ridusse, che si potette chiamar buona. E veramente fu miracolo grandissimo, che quella età e grossa et inetta avesse forza d’operare in Giotto sì dottamente, che il disegno, del quale poca o niuna cognizione avevano gl’uomini di que’ tempi, mediante lui ritornasse del tutto in vita. E nientedimeno i principii di sì grand’uomo furono l’anno 1276 nel contado di Firenze, vicino alla città quattordici miglia, nella villa di Vespignano, e di padre detto Bondone lavoratore di terra e naturale persona. Costui avuto questo figliuolo, al quale pose nome Giotto, l’allevò secondo lo stato suo costumatamente. E quando fu all’età di dieci anni pervenuto, mostrando in tutti gli atti ancora fanciulleschi una vivacità e prontezza d’ingegno straordinario, che lo rendea grato non pure al padre, ma a tutti quelli ancora che nella villa e fuori lo conoscevano, gli diede Bondone in guardia alcune pecore, le quali egli andando pel podere quando in un luogo e quando in un altro pasturando, spinto dall’inclinazione della natura all’arte del disegno, per le lastre et in terra o in su l’arena del continuo disegnava alcuna cosa di naturale, o vero che gli venisse in fantasia. Onde, andando un giorno Cimabue per sue bisogne da Fiorenza a Vespignano, trovò Giotto che, mentre le sue pecore pascevano, sopra una lastra piana e pulita con un sasso un poco appuntato ritraeva una pecora di naturale, senza avere imparato modo nessuno di ciò fare da altri che dalla natura; per che fermatosi Cimabue tutto maraviglioso, lo domandò se voleva andar a star seco. Rispose il fanciullo, che contentandosene il padre, anderebbe volentieri. Dimandandolo dunque Cimabue a Bondone, egli amorevolmente glielo concedette, e si contentò che seco lo menasse a Firenze; là dove venuto, in poco tempo, aiutato dalla natura et ammaestrato da Cimabue, non solo pareggiò il fanciullo la maniera del maestro suo, ma divenne così buono imitatore della natura, che sbandì affatto quella goffa maniera greca, e risuscitò la moderna e buona arte della pittura, introducendo il ritrarre bene di naturale le persone vive, il che più di dugento anni non s’era usato: e se pure si era provato qualcuno, come si è detto di sopra, non gli era ciò riuscito molto felicemente, nè così bene a un pezzo, come a Giotto. Il quale fra gl’altri ritrasse, come ancor oggi si vede, nella capella del palagio del podestà di Firenze, Dante Alighieri coetaneo et amico suo grandissimo, e non meno famoso poeta, che si fusse ne’ medesimi tempi Giotto pittore, tanto lodato da messer Giovanni Boccaccio nel proemio della novella di messer Forese