Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 1-2, 1568.djvu/232

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136 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


al re Ruberto alcune cose in S. Chiara et altri luoghi di quella città: onde passando Giotto nell’andar là da Orvieto per veder l’opere, che da tanti uomini vi si erano fatte e facevano tuttavia, che egli volle veder minutamente ogni cosa. E perchè più che tutte l’altre sculture gli piacquero i profeti d’Agostino e d’Agnolo sanesi, di qui venne che Giotto non solamente gli commendò, e gli ebbe con molto loro contento nel numero degli amici suoi, ma che ancora gli mise per le mani a Piero Saccone da Pietramala, come migliori di quanti allora fussero scultori, per fare, come si è detto nella vita d’esso Giotto, la sepoltura del vescovo Guido, signore e vescovo d’Arezzo. E così, adunque, avendo Giotto veduto in Orvieto l’opere di molti scultori, e giudicate le migliori quelle d’Agostino et Agnolo sanesi, fu cagione che fu loro data a fare la detta sepoltura, in quel modo però che egli l’aveva disegnata, e secondo il modello che esso aveva al detto Piero Saccone mandato. Finirono questa sepoltura Agostino et Agnolo in ispazio di tre anni, e con molta diligenza la condussono e murarono nella chiesa del Vescovado di Arezzo nella capella del Sagramento; sopra la cassa, la quale posa in su certi mensoloni intagliati più che ragionevolmente, è disteso di marmo il corpo di quel vescovo, e dalle bande sono alcuni Angeli che tirano certe cortine assai acconciamente. Sono poi intagliate di mezzo rilievo in quadri dodici storie della vita e fatti di quel vescovo, con un numero infinito di figure piccole; il contenuto delle quali storie, acciò si veggia con quanta pacienza furono lavorate, e che questi scultori studiando cercarono la buona maniera, non mi parrà fatica di raccontare. Nella prima è quando aiutato dalla parte ghibellina di Milano, che gli mandò quattrocento muratori e danari, egli rifà le mura d’Arezzo tutte di nuovo, allungandole tanto più che non erano, che dà loro forma d’una galea; nella seconda è la presa di Lucignano di Valdichiana; nella terza quella di Chiusi; nella quarta quella di Fronzoli, castello allora forte sopra Poppi, e posseduto dai figliuoli del conte di Battifolle; nella quinta è quando il castello di Rondine, dopo essere stato molti mesi assediato dagl’Aretini, si arrende finalmente al vescovo; nella sesta è la presa del castello del Bucine in Valdarno; nella settima è quando piglia per forza la Rocca di Caprese, che era del conte di Romena, dopo averle tenuto l’assedio intorno più mesi; nell’ottava è il vescovo che fa disfare il castello di Laterino e tagliare in croce il poggio che gli è sopra posto, acciò non vi si possa far più fortezza; nella nona si vede che rovina e mette a fuoco e fiamma il Monte Sansavino, cacciandone tutti gli abitatori; nell’undecima è la sua incoronazione, nella quale sono considerabili molti begli abiti di soldati a piè et a cavallo e d’altre genti; nella duodecima finalmente si vede gli uomini suoi portarlo da Montenero, dove ammalò, a Massa, e di lì poi, essendo morto, in Arezzo. Sono anco intorno a questa sepoltura in molti luoghi l’insegne ghibelline e l’arme del vescovo, che sono sei pietre quadre d’oro in campo azzurro, con quell’ordine che stanno le sei palle nell’arme de’ Medici. La quale arme della casata del vescovo fu descritta da frate Guittone cavaliere e poeta aretino, quando scrivendo il sito del castello di Pietramala, onde ebbe quella famiglia origine, disse:

Dove si scontra il Giglion con la Chiassa,