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226 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


rimangono. E nel vero, chi dispensa il tempo in questa maniera, vive in quieta contemplazione e senza molestia alcuna di que’ stimoli ambiziosi che negli scioperati et oziosi, che per lo più sono ignoranti, con loro vergogna e danno quasi sempre si veggiono. E se pur avviene che un così fatto virtuoso dai maligni sia tallora percosso, può tanto il valore della virtù che il tempo ricuopre e sotterra la malignità de’ cattivi, et il virtuoso ne’ secoli che succedono rimane sempre chiaro et illustre. Don Lorenzo dunque pittore fiorentino, essendo monaco della Relligione di Camaldoli e nel monasterio degl’Angeli (il qual monasterio ebbe il suo principio l’anno 1294 da fra’ Guittone d’Arezzo dell’Ordine e Milizia della Vergine Madre di Gesù Cristo, o vero, come volgarmente erano i religiosi di quell’Ordine chiamati, de’ frati Gaudenti), attese ne’ suoi primi anni con tanto studio al disegno et alla pittura, che egli fu poi meritamente in quello esercizio fra i migliori dell’età sua annoverato. Le prime opere di questo monaco pittore, il quale tenne la maniera di Taddeo Gaddi e degl’altri suoi, furono nel suo monasterio degli Agnoli, dove, oltre molte altre cose, dipinse la tavola dell’altar maggiore, che ancor oggi nella loro chiesa si vede, la quale fu posta su, finita del tutto, come per lettere scritte da basso nel fornimento si può vedere, l’anno 1413. Dipinse similmente don Lorenzo in una tavola, che era nel monasterio di San Benedetto del medesimo ordine di Camaldoli, fuor della porta a Pinti, il quale fu rovinato per l’assedio di Firenze l’anno 1529, una coronazione di Nostra Donna sì come avea anco fatto nella tavola della sua chiesa degl’Angeli; la quale tavola di San Benedetto è oggi nel primo chiostro del detto monasterio degl’Angeli nella capella degl’Alberti a man ritta. In quel medesimo tempo e forse prima, in S. Trinita di Firenze, dipinse a fresco la capella e la tavola degl’Ardinghelli, che in quel tempo fu molto lodata; dove fece di naturale il ritratto di Dante e del Petrarca; in S. Piero maggiore dipinse la capella de’ Fioravanti, et in una capella di S. Piero Scheraggio dipinse la tavola; e nella detta chiesa di S. Trinita la capella de’ Bartolini, in S. Iacopo sopra Arno si vede anco una tavola di sua mano molto ben lavorata e condotta con infinita diligenza secondo la maniera di que’ tempi. Similmente nella Certosa fuor di Fiorenza dipinse alcune cose con buona pratica, et in S. Michele di Pisa, monasterio dell’Ordine suo, alcune tavole che sono ragionevoli; et in Firenze nella chiesa de’ Romiti, pur di Camaldoli (che oggi, essendo rovinata insieme col monasterio, ha lasciato solamente il nome a quella parte di là d’Arno che dal nome di quel santo luogo si chiama Camaldoli) oltre a molte altre cose fece un Crucifisso in tavola et un S. Giovanni che furono tenuti bellissimi. Finalmente, infermatosi d’una postema crudele che lo tenne oppresso molti mesi, si morì d’anni cinquantacinque, e fu da’ suoi monaci, come le sue virtù meritavano, onoratamente nel capitolo del loro monasterio sotterrato. E perchè spesso, come la sperienza ne dimostra, da un solo germe, col tempo, mediante lo studio et ingegno degl’uomini, ne surgono molti, nel detto monasterio degl’Angeli, dove sempre per a dietro attesero i monaci alla pittura et al disegno, non solo il detto don Lorenzo fu eccellente in fra di loro ma vi fiorirono ancora per lungo spazio di molti anni e prima e poi uomini eccellenti nelle cose del disegno. Onde non mi pare da passare in niun modo con silenzio un don