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230 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


a Siena; dove, lavorando continuamente, attese in modo agli studi dell’arte per farsi valente uomo, che si può affermare, se forse non seguì l’intento suo, che certo non fu per difetto o negligenza che mettesse nel fare, ma sì bene per indisposizione d’un male opilativo che l’assassinò di maniera, che non potette conseguire pienamente il suo desiderio. Morì Taddeo, avendo insegnato l’arte a suo nipote chiamato Domenico, d’anni 59, e le pitture sue furono intorno agl’anni di nostra salute 1410. Lasciò dunque, come si è detto, Domenico Bartoli suo nipote e discepolo, che attendendo all’arte della pittura, dipinse con maggiore e migliore pratica; e nelle storie che fece mostrò molto più copiosità, variandole in diverse cose, che non aveva fatto il zio. Sono nel pellegrinario dello spedale grande di Siena due storie grandi lavorate in fresco da Domenico, dove e prospettive et altri ornamenti si veggiono assai ingegnosamente composti. Dicesi essere stato Domenico modesto e gentile e d’una singolare amorevolezza e liberalissima cortesia, e che ciò non fece manco onore al nome suo, che l’arte stessa della pittura. Furono l’opere di costui intorno agl’anni del Signore 1436; e l’ultime furono in S. Trinita di Firenze, una tavola dentrovi la Nunziata, e nella chiesa del Carmine la tavola dell’altar maggiore. Fu ne’ medesimi tempi e quasi della medesima maniera, ma fece più chiaro il colorito e le figure più basse, Alvaro di Piero di Portogallo, che in Volterra fece più tavole et in S. Antonio di Pisa n’è una et in altri luoghi altre, che per non essere di molta eccellenza non occorre farne altra memoria. Nel nostro libro è una carta disegnata da Taddeo molto praticamente, nella quale è un Cristo e due Angeli, etc.

Fine della Vita di Taddeo Bartoli &cc.